Il benemerito Cermes, che sta per Centro di Ricerca su Marketing e Servizi, nuovissima istituzione nata nel 2010 in seno alla prestigiosa Università Bocconi, ci informa che la spesa media per i regali di Natale si è ridotta dell’8,1% rispetto allo scorso anno.
In particolare quest’anno sarebbe di moda il dono cosiddetto funzionale, vero dominatore della scena natalizia rispetto al più vituperato regalo divertente, meno adeguato al periodo di crisi anche morale in cui versa l’Italia. Se in tempi meno austeri ci si concedeva volentieri il portacandela rosa a forma di membro virile, le carte da gioco fluorescenti, la cornice per fotografie gonfiabile e altre analoghe amenità del tutto inutili, adesso prediligiamo, almeno secondo il Cermes, piccoli o grandi elettrodomestici, eleganti accoppiate di sciarpa più guanto, calde copertine da divano adeguate al desiderio di famiglia che a Natale sembra improvvisamente ridestarsi da un letargo secolare, accappatoi e altri complementi da toilette di ogni colore e materiale e quant’altro sia reputato utile, senza domandarsi se la quinta trapunta in pile, il sesto servizio di posate, il cinquantesimo manicotto in ecopelle e il centomilionesimo cappellino di lana shetland, destinati ad imbottire armadi e bauli di mezza Italia nonché ad incoraggiare i giochi di ruolo e travestimento di legioni di ragazzini annoiati dalle protratte abbuffate festaiole, possano davvero essere considerati tali.
Per non parlare degli intramontabili doni gastronomici quali i miliardi di cioccolatini, panettoni, torroni, pandori, creme, salse, sottaceti, sottoli, formati di pasta bi, tri, quadri e pentacolore, spumanti fatalmente sempre brut per chi ama il dolce e sempre dolci per chi preferisce il secco, che ogni Natale costringono i morigerati italiani in piena crisi economica ad aggiungere buchi alla cintura. Cosa poi spinga i ricercatori del Cermes, evidentemente altrettanto obnubilati dalla mole di acquisti natalizi quanto lo è il campione da loro analizzato, a ritenere funzionale e non voluttuario un regalo come la coperta con le maniche o la borsa dell’acqua calda elettrica, oggigiorno di gran moda e senza le quali è divenuto davvero impossibile condurre un’esistenza degna di tale nome, questo è l’autentico mistero del Natale occidentale.
L’aria di austerità che spira in tempi di crisi economica, tuttavia, alla lunga stanca. E come in un romanzo a lieto fine, a consolazione di quanti rimpiangono le feste di una volta, la ricerca del Cermes afferma con decisione che i regali di Natale di lusso sono in netta tenuta: costituirebbero anzi una vera isola felice nell’irrequieto mare della disastrata economia nazionale.
Il collare tempestato di Swarovski, la custodia per ipad in vera pelle di alligatore, il contenitore per rossetto in oro dark 18 carati, quest’anno di gran moda, e infine, per i più sfortunati che lavorano anche durante le feste, il mouse in oro bianco e diamanti ideato dagli svizzeri che, godendosi i risparmi di mezza Europa depositati entro le loro accoglienti e discrete banche, se la ridono sotto i baffi, sarebbero in ultima analisi i regali più regalati dal popolo italico.
Ma per fortuna c’è papa Ratzinger: dalla sua pedana mobile che gli garantisce incolumità e ormai dimentico dell’incidente occorsogli durante la messa di Natale di qualche anno fa, quando una donna svizzera affetta da grave disagio psichico, la quale evidentemente trovava meno da ridere rispetto ai propri connazionali gioiellieri, lo ha spinto a terra, il sommo pontefice non ha rinunciato ad esporsi esortando nel contempo gli italiani all’umiltà e alla fraterna solidarietà, valori giusto in tema con il periodo buonista che ogni anno di questi tempi ossessiona pazienti psichiatrici e non.
Il papa ha ricordato al suo obnubilato popolo che «la gioia è il vero dono del Natale, non i costosi doni che costano tempo e soldi». E lui stesso dà il buon esempio: per mettere a tacere le eretiche e infide malelingue, infatti, il papa dal sorriso sulle labbra ha reso noto ormai da tempo che le sue purpuree babbucce, approvate dall’universo del fashion, non sono firmate Prada bensì Adriano Stefanelli, umile artigiano novarese che, nella sua insignificante carriera, ha vestito le estremità di sconosciuti personaggi quali l’impostore che si faceva chiamare Alessio II, il politico di quartiere Lech Walesa, uno sconosciuto che risponde al nome di Luca di Montezemolo e infine, ciliegina sulla torta, l’oscuro e sinistro afroamericano Barack Obama nonché un suo predecessore ossessionato dai carrarmatini giocattolo, tal George W. Bush.
Povero papa Ratzinger, ahi quanto gli costò l’aver amato il suo gregge spendaccione: l’umiltà lo costringe a cadere così in basso da non osare, per il bene dell’Italia in preda ad una epocale crisi finanziaria e morale, nemmeno l’acquisto di una calzatura comme il faut. L’artigiano Stefanelli infatti, conscio dell’abisso che lo separa da Prada, a differenza di quest’ultimo non osa pubblicare sul sito web nemmeno un prezzo. Ma si sa: l’umiltà non è questione di numeri.