Da giorni il celebre cantautore nostrano Adriano Celentano è nell’occhio del ciclone.
Dapprima per l’esagerato compenso sanremese (peraltro destinato in beneficenza) che ha scandalizzato non pochi e già, mancando analoghe critiche auspicabilmente più costruttive sulle parcelle di altri personaggi quali modelle, calciatori, attori hollywoodiani remunerati non certo meno del Molleggiato, si cominciava a sentire puzza di bruciato. Ma l’incendio vero e proprio è divampato per le dichiarazioni che il cantautore ha snocciolato proprio durante la prima serata del Festival di Sanremo riguardo alcune testate cattoliche, in particolare Avvenire e Famiglia Cristiana nelle quali, secondo Celentano, «il discorso di Dio occupa poco spazio».
Puntare i riflettori sull’ipocrisia aleggiante su certi giornali non è un gesto facile: persino un personaggio del calibro di Celentano, un divo per famiglie invitato ad un programma per famiglie, mostra che in Italia dire la propria mette in pericolo: in specie quando la propria non è, guarda caso, quella altrui.
La focosa vicenda, comunque si concluda, è ben lungi dall’accendere un sanguigno ma piacevole e necessario dibattito sulla libertà di espressione, che ormai è la Cenerentola della società italiana.
Era appena rimasta sullo stomaco dei più delicati l’indigesta notizia che il Belpaese si troverebbe sessantunesimo nella classifica della libertà di stampa stilata per il 2011 da Reporter Senza Frontiere, abbondantemente superato da Giamaica, Namibia e persino da paesi ex comunisti come la Polonia e l’Ungheria, ed ecco che ora un altro amaro boccone turberà i sonni di quei pochi che ancora contestano la censura come modus operandi di una società ormai pericolosamente somigliante a famosi film di fantascienza come Farenheit 451 o Equilibrium: la bruttezza del dibattito che ha seguito le parole del Molleggiato, con accese richieste di pubblica ammenda, giri di frittate tali da far apparire le parole di Celentano come esse stesse censorie e altri ameni piatti tipici del Belpaese, serviti su un letto di insalata amara e accompagnati dalla solita indigesta salsa che è un mix di maleducazione e di orgoglio ferito tutto italiano, e tutto cattolico.
In mezzo a tanto sdegno, insperate parole di saggezza non derivano dalla bocca di politici, ecclesiastici o amministratori della cosa pubblica, bensì da un altro cantautore: Gianni Morandi, conduttore del Festival di Sanremo. Testuali parole di Morandi all’indirizzo del sermone del collega: «L’ho ascoltato, il suo discorso; sulle critiche ai preti era un discorso da cattolico osservante. Poi sulla chiusura dei giornali cattolici, lui pensa che si debba parlare più di spiritualità. Ognuno poi faccia le sue valutazioni».
Aprire bocca per cantare, anziché per urlare la propria offesa, certe volte fa bene. Alla libertà di espressione. Ma anche, per chi ce l’ha, alla fede.