luna bianca luna nera è la luna del calendario, quella di tutti i giorni, perché in questo blog si parla di ciò che succede e di come lo sentiamo.
l'una bianca, l'una nera: qualcosa ci piace, qualcos'altro invece no. perché anche la luna ha un suo fondo di inquietudine.

sabato 27 ottobre 2012

Italiani brava gente: popolo saggio o indolente?

Mario De Biasi – Gli italiani si voltano – Milano 1954


“La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi”. Indro Montanelli


Taluni osservano, in parte a ragione, che in quanto italiani non siamo in grado trasmutare l’indignazione nella necessaria e conseguente azione a coronamento della stessa. Buoni solo a parlare, a dar sfogo al piagnisteo, arte a dir poco patetica e inconcludente.

Taluni, obiettano, in parte a ragione, che in quanto italiani non abbiamo la cultura, né la formazione alla rivoluzione essendo avversi alla violenza, cedendo alla forzata attesa, fin’anche all'estenuante sopportazione del sopruso, qualunque sia la sua origine.

Le risposte degli italiani, così, sarebbero naturalmente ponderate, non tanto per saggezza, quanto piuttosto per una sorta naturale indolente sopportazione e abitudine all'utile servilismo. L’attesa del paradiso resta un’attesa utile, alle finanze come all'arte.

Gli italiani così sarebbero come alla sommità di bivio, accomunati da un’unica lingua e una duplice natura. Spesso accade che i due fenotipi coincidano, come in una sorta di schizofrenico sdoppiamento della personalità.

Chi dunque vincerà difronte al disastro economico e sociale che ci rende ostinatamente servili, allo stesso tempo indolenti, piagnoni inconcludenti, pazienti al sopruso, riluttanti alla violenza, instancabili sognatori, incredibili artisti e indefessi inventori, tanto da essere ciclicamente fottuti dal peggiore degli imbonitori e pur sempre pronti a ricominciare daccapo?

Giunti a questo punto (l’ennesimo), un po’ di sana cattiveria, una buona dose di (auto?)ironia, non guasta. E magari aiuta a meglio sopportare e digerire l’amaro boccone, quando ce ne dovesse essere bisogno.


mercoledì 7 marzo 2012

Femminismo prêt-à-porter

Un tempo motore non immobile, anche discutibile ma sempre vivacemente dialettico, della rivoluzione sociale e sessuale dei mitici anni Sessanta e Settanta, il femminismo ai giorni nostri sembra ormai defunto.
Eppure sappiano, coloro che non riescono proprio a consolarsi per la pericolosa latitanza di valide idee di stampo femminista, che esiste una compagine di donne ucraine che la recente rielezione di Putin ha posizionato nell’occhio del ciclone: si tratta delle Femen, sorta di novelli city angels al femminile che propugnano, o quanto meno sono convinte di farlo, «l’aggregazione delle giovani donne» attraverso «la consapevolezza e l’attivismo sociale nonché lo sviluppo culturale e intellettuale», che intendono proporre un’espressione di sé «basata su coraggio, creatività, efficienza» nonché sull’immancabile «shock» che ai tempi nostri è ingrediente fondamentale di ogni protesta che si rispetti.
Belle, molto bionde, giovani e tatuate, le signorine di Femen si autoproclamano il maggior gruppo femminista dell’Ucraina e si pongono l’ambizioso obiettivo di diventare il movimento femminista più influente in Europa. E ai seggi presidenziali in Russia le suddette femministe in jeans attillati si sono prodotte nell’ormai consueta protesta che le ha viste entrare vestite, spacciandosi per giornaliste, per poi esporre il seno nudo imbrattato di lodevoli scritte antipresidenziali di fronte alle solite onnipresenti telecamere.
Le suffragette in topless non sono nuove a questo genere di azioni; ma c’è di più: questa singolare forma di protesta è addirittura istituzionalizzata dalle Femen, il cui slogan suona pressappoco come «venimmo, ci spogliammo e vincemmo», e impiegata a più non posso da donne tutte giovani, tutte graziose, tutte snelle e tutte sexy, insomma delle perfette Winx caucasiche, supereroine interstellari coi capelli al vento che testualmente si battono come novelle amazzoni per «creare le condizioni più favorevoli affinché le giovani donne possano unirsi in un gruppo la cui idea principale è il mutuo sostegno e la responsabilità sociale, e che riveli i talenti di ciascun membro del movimento». Quali siano questi talenti è stato ampiamente mostrato ai seggi delle presidenziali sovietiche, con o senza piercing al capezzolo.
Niente di male, beninteso, a mostrare il seno in un gioco che per molte donne può essere anche divertente e addirittura piacevole: ma se tutto ciò è femminismo, allora il morto di cui sopra è stato tramutato in zombie. Uno zombie cui non resta, viste le grazie delle novelle femministe prêt-à-porter del terzo millennio, che rincorrere le signorine ucraine con la bava alla bocca come nel miglior filone dark del Bela Lugosi d’annata per poi ritrovarsi impalato giusto in mezzo al petto, un petto non più giovane e dove il seno ormai è cadente, e battere infine in ingloriosa ritirata verso il dissacrato cimitero.
Mano pietosa che poni un fiore sulla tomba del defunto femminismo, benignamente provvedi, già che ci sei, anche alla lapide di tutte le giovani donne il cui modello di lotta femminista è costituito dallo spogliarello di protesta di ragazzine che somigliano alle Barbie (o meglio alle Bratz), hanno un nome più adatto ad una band di lesbo-rock che ad una compagine di pasionarie e vestono Pinko, Guess e Miss Sixty: degli anni d’oro del femminismo non sono rimasti che i jeans. Amen.
Pardon, Femen.
 

giovedì 1 marzo 2012

I No Tav e il mistero delle porte killer

Le grottesche «tragedie sfiorate» all’italiana includono vari fenomeni di cronaca tra cui misteriose sparizioni di preziose reliquie, trafugazioni di salme di noti personaggi della tv, nuovi anni salutati a suon di revolverate meglio se all’interno di canne fumarie ancora rivestite del vecchio eternit, partite di calcio un po’ troppo turbolente e infine, last but not least, il mistero delle cosiddette porte killer.
Le porte killer, già colpevoli di una lunga serie di avventure potenzialmente o effettivamente letali a carico del personale e dei passeggeri delle nostre beneamate ferrovie nazionali, sarebbero nientemeno che i varchi di accesso ai treni o meglio ai vagoni dei treni, ossia in parole povere, come dice il nome, le porte: quelle che per mezzo di sofisticati comandi si aprono e chiudono a richiesta. O quantomeno dovrebbero. Perché, tanto per restare in tema di cronaca, è successo che la porta di un treno della prestigiosa flotta delle Frecce, orgoglio e vanto dell’Alta Velocità nostrana, invece di chiudersi ed aprirsi appropriatamente per compiere il proprio dovere di porta, ha deliberato di staccarsi dai cardini che la ospitavano e di cadere con gran clamore dal treno che in quell’istante, trattandosi appunto di un treno dell’Alta Velocità, sfrecciava intorno ai 250 km orari ignaro dell’ammutinamento di uno dei suoi più importanti componenti.
Stavolta, come altre volte, la tragedia è stata soltanto sfiorata.
Ma sfogliando gli annali degli addetti del settore si viene a scoprire una serie di infortuni anche mortali in cui sono state coinvolte le ormai famose porte killer dei treni e che hanno fatto gridare allo scandalo i sindacati esasperati dai continui tagli del personale, nella fattispecie di quello addetto alla sicurezza: la frequenza degli incidenti dovuti alle porte che non si chiudono, o che si chiudono fin troppo bene addosso alle membra del malcapitato di turno, giustifica pienamente il nomignolo di cui sopra.
D’altra parte, con buona pace dei sindacati, la storia si ripete e la responsabilità in questi casi è come l’Araba Fenice: che vi sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa. Le categorie più accreditate, in Italia, sarebbero i comunisti seguiti a ruota dagli omosessuali con terzi a pari merito le donne e gli atei. E invece, a sorpresa, ecco che compare una nuova specie di autentici capri espiatori all’italiana, che non sono i becchi delle Camosciate delle Alpi bensì, per andare geograficamente poco lontano, i No Tav impegnati proprio in questi giorni in virulente proteste contro i cantieri della Val Susa.
Si può essere o non essere d’accordo con i No Tav ma il merito che è bene riconoscere loro è di aver puntato il dito sullo sperpero esagerato di risorse economiche in progetti, come quello dell’Alta Velocità, che rischiano poi, intascato il malloppo e ingrassati i cammelli, di rimanere cattedrali nel deserto abbandonate a se stesse, difficilmente fruibili, del tutto inutili oppure, come insegna la vicenda delle porte killer, persino pericolose.
E invece, candidamente, il Gruppo Ferrovie ricorda a chi se ne fosse scordato che la porta che si è staccata dal treno Frecciargento è esattamente quella «imbrattata dai manifestanti No Tav» durante la protesta del 27 febbraio scorso.
Comunque vada l’inchiesta sul reo confesso più famoso del momento, e cioè la porta killer, chi può dormire sonni tranquilli in questa vicenda sono proprio loro, i No Tav; accusati in pratica di saper piegare un cucchiaino con la forza del pensiero, non resta loro che approfittare del superpotere di far cadere le porte dei treni a proprio vantaggio: lasciarci qui senza più nemmeno un vagone praticabile e passare il confine con la Francia in bicicletta, alla ricerca di un più civile contesto. Per un po’ non sentiremo parlare di porte killer.
 

mercoledì 29 febbraio 2012

Tango e furlana per le ceneri in laguna

«La terra ai vivi» era l’azzeccatissimo slogan di qualche anno fa del benemerito ente morale Socrem, dove la cremazione cui si allude nel nome non riguarda l’Antica Gelateria del Corso bensì la civile, antichissima pratica di ardere i corpi dei defunti: la terra è dunque riservata ai vivi e per contro ai morti spetterebbe, secondo un altro poetico adagio del settore, «La purezza del ricordo».
Prassi antica e comune a tante culture, la cremazione, come forse non molti sanno, è regolamentata da apposita legge nazionale, per la precisione la n° 130 del 30 marzo 2001, nonché avallata da esplicito sigillo di approvazione pontificia il 5 luglio del 1963, allorché papa Paolo VI in persona dichiarò testualmente che «l’abbruciamento dei cadaveri, come non tocca l’anima e non impedisce all’Onnipotenza Divina di ricostruire il corpo, non è cosa contraria alla religione cristiana».
Tali autorevoli parole non devono essere mai giunte alle orecchie del parroco della chiesa di San Pio X a Marghera, il quale ha vietato l’esecuzione di un funerale nella chiesa da lui amministrata con la motivazione che la defunta avrebbe espresso il desiderio di essere cremata e, in particolare, di avere le proprie ceneri disperse in laguna: eventualità impossibile dato che, secondo il solerte sacerdote, la dispersione delle ceneri sarebbe «vietata dalla Chiesa». Il rifiuto del parroco avrebbe innescato una furlana turbinante, una frenetica girandola non molto carnevalesca e neppure, è lecito supporlo, molto divertente per il marito della defunta: una gitarella non propriamente di piacere alla ricerca di una chiesa che si degnasse di ospitare le legittime ultime esigenze della signora.
Poco importa che la legge nazionale di cui sopra permetta, all’articolo 2, la dispersione delle ceneri dei defunti e che in tal proposito vi sia persino, a fare da eco a questa legge, il regolamento comunale di polizia mortuaria che a Venezia dispone di liberare le ceneri a 700 metri dalla costa. Non importa: evidentemente impaurito dalla circostanza che il vento lagunare possa riportare indietro al mittente gli impalpabili resti all’atto della dispersione, oppure schiacciato dalla mole non propriamente cinerea di due papi tutto sommato, rispetto ad altri, in odore di comunismo, il parroco ha nicchiato e feretro e famigliari hanno dovuto ripiegare su una più accogliente chiesa di Mestre.
Trasferita la defunta, per il parroco di San Pio X non resta che evocare lo spettro del papa che dà il nome alla sua parrocchia, magari a braccetto col fantasma di Paolo VI; all’affermare di quest’ultimo che «non saremmo cristiani fedeli se non fossimo cristiani in continua fase di rinnovamento», immaginiamo il primo sorridere sornione e fare eco, a proposito della gran novità di quegli anni ossia lo scandaloso tango, «mi me pàr che sia più bèo el bàeo a ‘ea furlana; ma nò vedo che gran pecài ghe sia in stò novo bàeo!» (A me sembra che sia più bella la furlana; ma non vedo che gran peccato vi sia in questo nuovo ballo). E il pretino convincersi che forse non c’è un gran peccato nemmeno nel disperdere le ceneri, visto che l’ha detto qualcuno prima di lui. Disgraziatamente non in veneto, ma è stato detto.
 

giovedì 23 febbraio 2012

Viene prima Giovanardi o la gallina?

A stento si può credere che sia vera la notizia secondo la quale il senatore Carlo Giovanardi avrebbe organizzato, alla Camera dei Deputati, un convegno dal significativo titolo di «Viene prima l’uomo o la gallina?» in evidente polemica con gli animalisti: e invece è tutto vero.
Secondo le teorie di Giovanardi, passato dal consueto e ormai trito rancore verso gli omosessuali ad una vera e propria crociata in favore del consumo di carne, gli animalisti ed i vegetariani ostacolerebbero la diffusione del made in Italy: stando a Giovanardi, infatti, «il settore zootecnico rischia di andare in crisi per una martellante campagna animalista che contesta alla radice, ad esempio, la possibilità di utilizzare le pelli di animali per il made in Italy». A fare eco a Giovanardi ci si è messo anche il nutrizionista Giorgio Calabrese, intervenuto al convegno per sostenere che «la carne è fondamentale per far crescere i bambini, per mantenere gli adulti, soprattutto la donne nel periodo fertile e poi aiutare l’anziano a sostenersi nella longevità».
Come non averci pensato prima? Vegetariani e animalisti si uniscono ad abortisti ed omosessuali nella corresponsabilità del grave momento di crisi economica che il Belpaese sta vivendo.
L’idea in effetti è allettante: come non pensare a quanta fetta di mercato copre il consumo di bistecche alla fiorentina, boicottate dalle suddette categorie di individui antisociali a favore di una più misera ribollita? Per non parlare delle borsette di cuoio: senza l’intervento degli animalisti l’Italia potrebbe arrivare a competere addirittura con i cinesi nella produzione di pellame, devastandone il fosco strapotere internazionale dal sapore neocomunista.
Non fosse per i soliti anarchici, le teorie di Giovanardi risolleverebbero l’economia nazionale più e meglio di qualunque altra teoria socioeconomica. Sistemata è anche la crisi demografica: i tanti italiani che non riescono a diventare genitori sappiano infatti, per il tramite di un convegno organizzato ai fini del loro benessere non solo economico ma anche personale, che la carne rende più fecondi.
Che dire di fronte a tanta geniale semplicità? E’ l’uovo di Colombo.
E a quanti possano mai esprimere perplessità circa le idee che Giovanardi concretizza con grande impiego di denaro pubblico, il senatore, proprio come fece il celebre navigatore genovese a chi osò contestarlo per aver sistemato in piedi il celebre uovo ammaccandolo leggermente, non avrebbe che da rispondere: «Voi avreste potuto farlo, io invece l’ho fatto!»
   
 

martedì 21 febbraio 2012

Asparagi misogini per chi fa sesso a scuola

Da Bassano del Grappa, famigerata patria di un delizioso asparago bianco, è giunta nei giorni scorsi la piccante notizia che un preside di scuola media superiore avrebbe sorpreso due quindicenni in atteggiamento inequivocabilmente erotico nei bagni dell’istituto da lui diretto. L’esemplare punizione del gesto dei focosi giovani è stata, come ci si potrebbe attendere da un Nordest pulito, preciso e dove tutto è sempre in meticoloso ordine, nientemeno che la sospensione.
Trattandosi di argomento scolastico è bene aprire una parentesi linguistico-filologica sulle curiose stranezze dell’italico idioma.
Secondo un simpatico documento che gira per la rete evidenziando le sottigliezze della nostra articolata lingua, un cortigiano è un bonzo dell’imperatore giapponese mentre una cortigiana è ben altro, un peripatetico è un discepolo della scuola aristotelica mentre una peripatetica è ben altro, un uomo pubblico è un politico in vista mentre una donna pubblica è ben altro, un accompagnatore è il pianista della classe di canto mentre un’accompagnatrice è ben altro, un uomo disponibile è il marito ideale mentre una donna disponibile è ben altro.
Il preside in questione deve aver avuto ben in mente le suddette ambiguità della lingua italiana quando ha conferito la punizione ai due incauti giovincelli responsabili di atti osceni in pubblico luogo scolastico: un giorno di sospensione per lui, quattro giorni per lei.
La circostanza si commenta da sola: ma lungi da noi l’avanzare troppi sospetti di misoginia.
Immaginiamo invece che il reato commesso dalla ragazza, ritenuto evidentemente più grave di quello commesso dal ragazzo, sia stato punito dal solerte dirigente non in quanto reato sessuale, reso più ponderoso dalla discendenza della giovane dalla prima peccatrice di sesso appunto femminile, bensì per avere sovvertito il di cui sopra immacolato ordine nordico recandosi nella ritirata dei maschi anziché in quella, più consona, riservata alle ragazze.
Per tanta audacia la discendente di Eva si è dunque meritata una punizione maggiore rispetto a quella del suo giovane partner maschile che invece, entrando nel bagno a lui dedicato, non ha infranto nessuna regola sociale.
Ecco che in Italia tutto finisce a tarallucci e vino o, nel caso in questione dove compaiono protagonisti ancora minorenni, ad asparagi bolliti. Un po’ indigesti, è vero, ma che farci? D’altra parte gli asparagi a febbraio sono completamente fuori stagione.
 

lunedì 20 febbraio 2012

Sanremo ai tempi della crisi

Arenato come la nave Concordia in un terrapieno di sabbiose polemiche che, come il vento negli occhi, costringono a serrare le palpebre anche coloro che vorrebbero tenerle aperte, il Festival di Sanremo resta tuttavia un evento: chi non lo guarda comunque ne parla, e le canzoni sono già degli autentici tormentoni.
Tra lustrini, paillettes, trucchi shocking, abiti sontuosi, spacchi esagerati, totomutandine (ma la valletta di turno indossa la biancheria intima oppure no?), telepredicatori, nude look, comicità all’italiana, carismatici ospiti internazionali, fantasmagoriche luci a ritmo con le canzoni e un’orchestra da favola, come nemmeno più gli enti lirici possono permettersi, in tutto questo caravanserraglio di lusso sfrenato sorprende l’inattesa tendenza delle canzoni vincitrici degli ultimi due anni: tendenza alla critica sociopolitica e comunque all’attualità.
Quest’anno Emma canta il disagio sociale; l’anno scorso il professor Vecchioni, trionfatore inaspettato, raccontava l’attualità interna ed estera. Dopo gli anni di Marco Carta e Valerio Scanu, con testi dedicati all’immortale amore che sboccia nei cuori di chi si vuole bene, in tempi di crisi economica e sociale persino Sanremo vira su più consoni argomenti. E tra gli ospiti quest’anno si è vista persino una autentica icona, di sapore nettamente comunistoide, del pop sociale e impegnato, la grandiosa Patty Smith.

Ma sul perché la televisione nostrana, antico bengodi americaneggiante per i poveri immigrati albanesi degli anni Novanta, sia diventata persino in prima serata un baluardo, decisamente kitsch ma forse anche per questo così efficace, di trasmissione di valori tutto sommato democratici, nemmeno la crisi può dare una risposta.
In apparenza si ha l’impressione che poco sia mutato: gli onorari delle star alla faccia di chi, come canta Emma, non tira la fine del mese, sono sempre stratosferici; gli abiti sempre dispendiosamente esagerati; il mondo televisivo, vero inno alla plastica come materiale principe di questa società fasulla eppure, sorpresa, così tenace, è sempre fedele a se stesso e alla sua ipocrisia. Tuttavia qualcosa è cambiato e persino i miti della musica pop all’italiana, sotto le consuete due dita di cerone, in questi ultimi anni sembrano quasi ordinari. Gente qualunque. Persino Morandi, sebbene non certo colpito personalmente dalla crisi, somiglia quasi al vicino di casa che si incontra la mattina davanti alle cassette della posta condominiali.
Sarà magari un sogno ma forse, nonostante l’alto indice di ascolto, la televisione ha smesso di dettare legge su una realtà che ormai sfugge a qualunque legge ed è tornata ad essere se stessa: una scatoletta non vera, non autentica, non sofferente, un gioco che intrattiene e basta. Poi, una volta toccato il magico tasto off del telecomando, il sogno svanisce e gli italiani ritornano ad una realtà fatta di crisi economica, di difficoltà sociali, di ripensamenti del proprio esistere e, in definitiva, di cose che non durano: esattamente come i fiori recisi delle serre ponentine. E che, allora, tanto vale godersi finché ancora profumano.
 

sabato 18 febbraio 2012

Porno tandoori

Una volta toccò al nostro presidente del Consiglio,  il cavaliere disarcionato da una grottesca faccenduola di donnine a chiosa della quale l’amico Mike Bongiorno, se solo avesse potuto assistervi, avrebbe certamente commentato: caro Silvio, lei mi scivola sul pisello. Ora che le potenze mondiali aumentano, in occidente si tira la cinghia, si aggiungono posti a tavola e lo scranno dei signori fa spazio ai nuovi arrivati, ci giunge dall’India la notizia che un pugno di ministri, per l’esattezza due uomini e, udite udite, persino una donna, si sono dimessi dopo essere stati sorpresi a guardare un film porno in parlamento.

Evidentemente annoiati dalla seriosa circostanza cui la loro posizione li ha costretti ad assistere, ossia una seduta parlamentare incentrata sulla devastante crisi agricola che sta vivendo l’India, i tre moschettieri del sesso devono aver ben pensato di distrarsi con alcune immagini di signore non propriamente ammantate del tradizionale coloratissimo sari.

Singolare la posizione personale dell’unica donna fra i tre: ministro per la donna e l’infanzia, versione indiana delle nostre politiche sociali; ma quel che davvero fa quadrare i conti è l’appartenenza politica dei tre dimissionari, i quali guarda caso facevano capo al principale partito della destra indiana, quel Bharathya Janata Party che, in ossequio ai modi della ormai paradigmatica destra all’italiana, deve evidentemente aver pensato di unire l’utile al dilettevole coniugando il mondo del porno con l’esigenza, specifica nel caso della signora ministro, di dare un impulso al lavoro della donna. In effetti quale settore si può immaginare più efficace del set a luci rosse in quanto ad aumento del fabbisogno di manodopera femminile, possibilmente allo stremo e disposta a tutto o quasi?

E invece le alte dirigenze del partito non devono avere molto gradito la geniale linea di pensiero dei tre esponenti in questione, tanto da indurli alle dimissioni per motivi di reputazione. Pazienza: in India come nel Belpaese, all’origano o al curry, gli ingredienti di base sono sempre gli stessi e a noi italiani non resta che rimpiangere i tempi in cui non era il porno a entrare clandestinamente in parlamento, come nell’era di Berlusconi e di questo nuovo scandalo erotico all’indiana, bensì il viceversa: il parlamento, nella persona dell’onorevole Cicciolina, entrava nel mondo del porno e in un certo senso lo rendeva «normale». La differenza è sottile. Ma c’è.
 

giovedì 16 febbraio 2012

Il Festival della Censura Italiana

Da giorni il celebre cantautore nostrano Adriano Celentano è nell’occhio del ciclone.
Dapprima per l’esagerato compenso sanremese (peraltro destinato in beneficenza) che ha scandalizzato non pochi e già, mancando analoghe critiche auspicabilmente più costruttive sulle parcelle di altri personaggi quali modelle, calciatori, attori hollywoodiani remunerati non certo meno del Molleggiato, si cominciava a sentire puzza di bruciato. Ma l’incendio vero e proprio è divampato per le dichiarazioni che il cantautore ha snocciolato proprio durante la prima serata del Festival di Sanremo riguardo alcune testate cattoliche, in particolare Avvenire e Famiglia Cristiana nelle quali, secondo Celentano, «il discorso di Dio occupa poco spazio».
Puntare i riflettori sull’ipocrisia aleggiante su certi giornali non è un gesto facile: persino un personaggio del calibro di Celentano, un divo per famiglie invitato ad un programma per famiglie, mostra che in Italia dire la propria mette in pericolo: in specie quando la propria non è, guarda caso, quella altrui.

La focosa vicenda, comunque si concluda, è ben lungi dall’accendere un sanguigno ma piacevole e necessario dibattito sulla libertà di espressione, che ormai è la Cenerentola della società italiana.
Era appena rimasta sullo stomaco dei più delicati l’indigesta notizia che il Belpaese si troverebbe sessantunesimo nella classifica della libertà di stampa stilata per il 2011 da Reporter Senza Frontiere, abbondantemente superato da Giamaica, Namibia e persino da paesi ex comunisti come la Polonia e l’Ungheria, ed ecco che ora un altro amaro boccone turberà i sonni di quei pochi che ancora contestano la censura come modus operandi di una società ormai pericolosamente somigliante a famosi film di fantascienza come Farenheit 451 o Equilibrium: la bruttezza del dibattito che ha seguito le parole del Molleggiato, con accese richieste di pubblica ammenda, giri di frittate tali da far apparire le parole di Celentano come esse stesse censorie e altri ameni piatti tipici del Belpaese, serviti su un letto di insalata amara e accompagnati dalla solita indigesta salsa che è un mix di maleducazione e di orgoglio ferito tutto italiano, e tutto cattolico.

In mezzo a tanto sdegno, insperate parole di saggezza non derivano dalla bocca di politici, ecclesiastici o amministratori della cosa pubblica, bensì da un altro cantautore: Gianni Morandi, conduttore del Festival di Sanremo. Testuali parole di Morandi all’indirizzo del sermone del collega: «L’ho ascoltato, il suo discorso; sulle critiche ai preti era un discorso da cattolico osservante. Poi sulla chiusura dei giornali cattolici, lui pensa che si debba parlare più di spiritualità. Ognuno poi faccia le sue valutazioni».
Aprire bocca per cantare, anziché per urlare la propria offesa, certe volte fa bene. Alla libertà di espressione. Ma anche, per chi ce l’ha, alla fede.
 

mercoledì 15 febbraio 2012

Riduzioni parlamentari

Una semplice riflessione su questo articolo: http://www.repubblica.it/politica/2012/02/15/news/pd-lega_accordo_entro_2013_su_riduzione_parlamentari-29916467/?ref=HREC1-9 .

Credo che ridurre i parlamentari non sia una mossa totalmente buona per l’Italia: è vero che si risparmiano molti soldi pubblici, ma è anche vero che il potere resterebbe nelle mani di meno persone e quindi, se vogliamo, meno democratico. Si rischia di trovarsi con un’oligarchia impenetrabile, intoccabile e con un potere troppo facile.
Perché, anziché tenere pochi parlamentari privilegiati, non si pensa invece — dal momento che la legge è uguale per tutti — di togliere i privilegi a TUTTI i parlamentari e continuare a stipendiare TUTTI i parlamentari?