Arenato come la nave Concordia in un terrapieno di sabbiose polemiche che, come il vento negli occhi, costringono a serrare le palpebre anche coloro che vorrebbero tenerle aperte, il Festival di Sanremo resta tuttavia un evento: chi non lo guarda comunque ne parla, e le canzoni sono già degli autentici tormentoni.
Tra lustrini, paillettes, trucchi shocking, abiti sontuosi, spacchi esagerati, totomutandine (ma la valletta di turno indossa la biancheria intima oppure no?), telepredicatori, nude look, comicità all’italiana, carismatici ospiti internazionali, fantasmagoriche luci a ritmo con le canzoni e un’orchestra da favola, come nemmeno più gli enti lirici possono permettersi, in tutto questo caravanserraglio di lusso sfrenato sorprende l’inattesa tendenza delle canzoni vincitrici degli ultimi due anni: tendenza alla critica sociopolitica e comunque all’attualità.
Quest’anno Emma canta il disagio sociale; l’anno scorso il professor Vecchioni, trionfatore inaspettato, raccontava l’attualità interna ed estera. Dopo gli anni di Marco Carta e Valerio Scanu, con testi dedicati all’immortale amore che sboccia nei cuori di chi si vuole bene, in tempi di crisi economica e sociale persino Sanremo vira su più consoni argomenti. E tra gli ospiti quest’anno si è vista persino una autentica icona, di sapore nettamente comunistoide, del pop sociale e impegnato, la grandiosa Patty Smith.
Ma sul perché la televisione nostrana, antico bengodi americaneggiante per i poveri immigrati albanesi degli anni Novanta, sia diventata persino in prima serata un baluardo, decisamente kitsch ma forse anche per questo così efficace, di trasmissione di valori tutto sommato democratici, nemmeno la crisi può dare una risposta.
In apparenza si ha l’impressione che poco sia mutato: gli onorari delle star alla faccia di chi, come canta Emma, non tira la fine del mese, sono sempre stratosferici; gli abiti sempre dispendiosamente esagerati; il mondo televisivo, vero inno alla plastica come materiale principe di questa società fasulla eppure, sorpresa, così tenace, è sempre fedele a se stesso e alla sua ipocrisia. Tuttavia qualcosa è cambiato e persino i miti della musica pop all’italiana, sotto le consuete due dita di cerone, in questi ultimi anni sembrano quasi ordinari. Gente qualunque. Persino Morandi, sebbene non certo colpito personalmente dalla crisi, somiglia quasi al vicino di casa che si incontra la mattina davanti alle cassette della posta condominiali.
Sarà magari un sogno ma forse, nonostante l’alto indice di ascolto, la televisione ha smesso di dettare legge su una realtà che ormai sfugge a qualunque legge ed è tornata ad essere se stessa: una scatoletta non vera, non autentica, non sofferente, un gioco che intrattiene e basta. Poi, una volta toccato il magico tasto off del telecomando, il sogno svanisce e gli italiani ritornano ad una realtà fatta di crisi economica, di difficoltà sociali, di ripensamenti del proprio esistere e, in definitiva, di cose che non durano: esattamente come i fiori recisi delle serre ponentine. E che, allora, tanto vale godersi finché ancora profumano.