Un Natale senza albero non è un Natale. Un Natale senza presepe non è un Natale. Un Natale senza panettone non è un Natale. Un Natale senza regali non è un Natale. Ma, per fortuna, a garantire agli italiani il corretto svolgimento della festa più spendereccia dell’anno ci pensano le centinaia di supermarket che, nel periodo prenatalizio e in ossequio alle tradizioni, si riempiono di merci fino a scoppiare.
Salmone affumicato di dozzine di marche diverse; scaffali interi di balocchi alla moda; alberi di ogni colore e materiale corredati di palline variopinte; statuine di plastica che raffigurano donzelle vestite di pelli o, a seconda della classe sociale e della gerarchia all’interno del presepe, di manti azzurri su abiti rosa, con stuoli di pecore o buoi o asinelli al seguito; e, infine, piramidi di panettoni che dopo le feste verranno svenduti ai pochi sovversivi i quali, avendo bandito il suddetto dolce dalla mensa natalizia, non ne sentiranno la nausea al solo pensiero. Cosa sarebbe il Natale senza tutto ciò?
Ne sanno qualcosa i norvegesi che, in questo critico periodo, hanno visto letteralmente scomparire dai banchi frigo dei supermercati un ingrediente fondamentale per l’auspicabile riuscita del Natale nordico: il burro. Niente possono gli insaziabili appetiti di tradizione del popolo norvegese; il burro latita e qualcuno già medita di rinunciare alla propria identità di vichingo divoratore di grassi animali per votarsi alla sconsiderata moda vegana.
Di fronte a scenari quasi bellici che vedono legioni di norvegesi varcare il confine con la Svezia per procacciarsi mezzo chilo del sospirato condimento o, addirittura, organizzare importazioni clandestine da immettere su un mercato nero agevolato dal periodo spendereccio e dal sentimento che il Natale, per un vero scandinavo, non è Natale senza i biscotti al burro, il governo ha capitolato e ha ridotto le tariffe doganali, fra le più alte al mondo, per favorire la vergognosa importazione degli imprescindibili panetti.
Lieto fine assolutamente natalizio, dunque, per una storiaccia che ha messo in ginocchio un intero popolo.
Eppure l’amaro in bocca resta; nemmeno il bue del presepe il quale, a ben vedere, nelle statuine tradizionali somiglia sempre più ad una placida vacca, potrebbe sopperire alla minaccia di una eventuale carenza di burro: vuoi per il sesso incerto, vuoi per la plastica natura, lo statuario bovino evidentemente non dà latte, neanche a Natale. Tanto meglio. Il miracolo mancato sarebbe finalmente l’occasione per riflettere sulle usanze che imprigionano: chi di tradizione ferisce, infatti, di tradizione perisce. Anche a Natale.