Mentre nell’ufficio dell’anagrafe di Longarone, paese dai connotati biblici duramente colpito dal moderno diluvio universale del Vajont, il primo cittadino registra il nome di Gesù firmando il relativo atto di nascita, dal quale si desume che il noto profeta sarebbe nato nel bellunese il 25 dicembre del 2011, a Mantova il tribunale stabilisce che è vietato chiamare una bambina con il nome di Andrea, in quanto esso sarebbe «assolutamente maschile».
A Gesù, il cui nome evidentemente non suona femminile a nessuno, è andata tutto sommato assai bene: partendo dal presupposto che l’incarnazione del divino non è mummificata nella storia bensì è evento del quotidiano, il parroco di Longarone ha chiesto ed ottenuto dal sindaco di poter produrre un certificato di nascita per i suoi catecumeni, al fine di ribadire il concetto.
Vita più difficile, complice anche la farraginosa lentezza della macchina giudiziaria italiana, ha avuto invece la bambina protagonista della sentenza mantovana, venuta al mondo come Andrea ben cinque anni fa, che proprio in questi giorni si vede costretta ad una nuova identità: il tutto con la demenziale motivazione secondo la quale il nome virile di Andrea, se affibbiato ad una bambina, «non identifica la sessualità in modo corretto». Se Gesù, dai jeans fino al musical, è un nome superinflazionato e tuttavia decisamente maschile, Andrea pone però qualche problema supplementare su cui i giudici di Mantova evidentemente hanno tagliato corto.
Se Andrea al femminile è un nome impossibile, allora Giorgio Strehler non ha mai sposato l’attrice Andrea Jonasson, i loggionisti hanno semplicemente creduto di sentir interpretare Pamina dalla soprano Andrea Rost e gli sportivi austriaci si sono sognati l’oro della connazionale campionessa di super-G Andrea Fischbacher.
Il lato tragicomico della faccenda è costituito dalla circostanza che la bimba in questione, pur avendo cittadinanza italiana, vive in un contesto dove il suo nome è inteso al femminile, ossia la metropoli parigina. Se la piccola non può chiamarsi come i suoi genitori hanno deciso per lei, meglio allora non proiettare mai in sua presenza il film La Grande Abbuffata, in cui recita la splendida Andréa Ferréol. E non è questione di accenti. Con ineccepibile candore i giudici spiegano infatti che l’area geografica «non conta»: essendo la bimba cittadina italiana, occorre valutare la natura del nome «con riferimento alla tradizione del nostro Paese».
Viene creato un precedente per il quale non solo esisterebbe una cosiddetta corretta identificazione sessuale, ma essa passerebbe tanto attraverso l’attribuzione del nome proprio quanto attraverso la perentorietà della legge italiana nonché, con tutta probabilità, il senso di definitivo che origina dalle abitudini di chi giudica: tra il vietare a se stessi di chiamare Andrea la propria figlia e imporre analoga costrizione all’intero popolo, infatti, il passo è breve.
Il piccolo Gesù nasce dunque a Longarone, la piccola Andrea no. E visto che siamo in tema vale la pena evocare il nome di Anna, suocero di Caifa, sommo sacerdote ricordato negli Evangeli come implicato nel processo-farsa che mandò a morte, guarda caso, il sovversivo Gesù nella Palestina di duemila anni fa. Povero sommo sacerdote, direbbero i previdenti giudici mantovani scuotendo le autorevoli teste: la confusione sessuale nella quale l’incerto nome lo ha piombato ne ha segnato irreparabilmente le scelte esistenziali. Se Gesù, due millenni or sono, invece che in Palestina fosse nato a Longarone, forse la storia sarebbe andata in un altro modo.