Le grottesche «tragedie sfiorate» all’italiana includono vari
fenomeni di cronaca tra cui misteriose sparizioni di preziose reliquie, trafugazioni di salme di noti personaggi della tv, nuovi anni salutati a suon di revolverate meglio se all’interno di canne fumarie ancora rivestite del vecchio
eternit, partite di calcio un po’ troppo turbolente e infine,
last but not least, il mistero delle cosiddette
porte killer.
Le
porte killer, già colpevoli di una lunga serie di avventure potenzialmente o effettivamente letali a carico del personale e dei passeggeri delle nostre beneamate ferrovie nazionali, sarebbero nientemeno che i varchi di accesso ai treni o meglio ai vagoni dei treni, ossia in parole povere, come dice il nome, le porte: quelle che per mezzo di sofisticati comandi si aprono e chiudono a richiesta. O quantomeno dovrebbero. Perché, tanto per restare in tema di cronaca, è successo che
la porta di un treno della prestigiosa flotta delle Frecce, orgoglio e vanto dell’
Alta Velocità nostrana, invece di chiudersi ed aprirsi appropriatamente per compiere il proprio dovere di porta, ha deliberato di staccarsi dai cardini che la ospitavano e di cadere con gran clamore dal treno che in quell’istante, trattandosi appunto di un treno dell’Alta Velocità, sfrecciava intorno ai 250 km orari ignaro dell’ammutinamento di uno dei suoi più importanti componenti.
Stavolta, come altre volte, la tragedia è stata soltanto sfiorata.
Ma sfogliando gli annali degli addetti del settore si viene a scoprire una serie di infortuni anche mortali in cui sono state coinvolte le ormai famose
porte killer dei treni e che hanno fatto gridare allo scandalo i sindacati esasperati dai continui
tagli del personale, nella fattispecie di quello addetto alla
sicurezza: la frequenza degli incidenti dovuti alle porte che non si chiudono, o che si chiudono fin troppo bene addosso alle membra del malcapitato di turno, giustifica pienamente il nomignolo di cui sopra.
D’altra parte, con buona pace dei sindacati, la storia si ripete e la responsabilità in questi casi è come l’Araba Fenice: che vi sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa. Le categorie più accreditate, in Italia, sarebbero i
comunisti seguiti a ruota dagli
omosessuali con terzi a pari merito le
donne e gli
atei. E invece, a sorpresa, ecco che compare una nuova specie di autentici capri espiatori all’italiana, che non sono i becchi delle Camosciate delle Alpi bensì, per andare geograficamente poco lontano, i
No Tav impegnati proprio in questi giorni in
virulente proteste contro i cantieri della Val Susa.
Si può essere o non essere d’accordo con i No Tav ma il merito che è bene riconoscere loro è di aver puntato il dito sullo sperpero esagerato di risorse economiche in progetti, come quello dell’Alta Velocità, che rischiano poi, intascato il malloppo e ingrassati i cammelli, di rimanere
cattedrali nel deserto abbandonate a se stesse, difficilmente fruibili, del tutto inutili oppure, come insegna la vicenda delle
porte killer, persino pericolose.
E invece, candidamente, il
Gruppo Ferrovie ricorda a chi se ne fosse scordato che la porta che si è staccata dal treno Frecciargento è esattamente quella
«imbrattata dai manifestanti No Tav» durante la protesta del 27 febbraio scorso.
Comunque vada l’inchiesta sul reo confesso più famoso del momento, e cioè la
porta killer, chi può dormire sonni tranquilli in questa vicenda sono proprio loro, i No Tav; accusati in pratica di saper piegare un cucchiaino con la forza del pensiero, non resta loro che approfittare del superpotere di far cadere le porte dei treni a proprio vantaggio: lasciarci qui senza più nemmeno un vagone praticabile e passare il confine con la Francia in bicicletta, alla ricerca di
un più civile contesto. Per un po’ non sentiremo parlare di
porte killer.