A sentir parlare di banane, quei buoni frutti ricchi di fosforo che piacciono un po’ a tutti, la prima psichedelica associazione di idee è pensare alla fantomatica eppure famosissima Repubblica delle banane: luogo ideale in cui sarebbe costantemente in vigore, secondo Wikipedia, un regime politico «instabile, dove le consultazioni elettorali sono pilotate, la corruzione è ampiamente diffusa così come una forte influenza straniera. [...] Per estensione il termine è usato per definire governi dove un leader forte concede vantaggi ad amici e sostenitori senza grande considerazione delle leggi e mettendo alla porta coloro che non l’hanno votato o appoggiato in senso economico e/o politico».
La popolarità che il dolce e sostanzioso frutto da sbucciare ha raggiunto in questi giorni non riguarda, però, né il famoso film di Woody Allen «Il dittatore dello stato libero di Bananas» e nemmeno, a scanso di equivoci, la situazione politica nostrana: la tropicaleggiante simpatica banana richiama semmai una ennesima querelle sul copyright, che concerne stavolta i cosiddetti diritti di sfruttamento di un logo celeberrimo, appunto la banana della copertina del disco che i Velvet Underground hanno pubblicato nel lontano e ormai mitico 1966, disegnata per il gruppo musicale nientemeno che da Andy Warhol in persona. La disputa è la seguente: poiché il logo pop, i cui diritti sono gestiti dalla Andy Warhol Foundation, richiama anche in maniera inequivocabile l’immagine dei Velvet Underground, questi ultimi chiedono (non, va da sé, a ritmo di rock bensì a suon di avvocati) una parte del malloppo.
La malinconica banana, che nella copertina delle primissime copie del disco uscì addirittura in versione sbucciabile con tanto di interno ambiguamente rosa, anch’esso partorito dal genio congiunto del leader dei Velvet, Lou Reed, e del suo amico Warhol, vede oggi tramontare il proprio mito: dietro le grandi amicizie, ormai, spuntano inesorabili le questioni di soldi. Ma tant’è.
Altro che Velvet Underground: oggidì, con i tempi che corrono, non si può più cantare nemmeno «l’unico frutto dell’amor / è la banana / è la banana». Il nostro amato frutto giallo non espone più il proprio ambiguo cuore rosa custodito dalle ammiccanti parole peel slowly and see, sbuccia lentamente e vedrai, bensì un prosaico verde-bigliettoni assai più consono alla società moderna. Morto il ’68, anche il ’66 comincia a non sentirsi troppo bene. Carenza di fosforo?