Dopo il violento terremoto abbattutosi lo scorso ottobre nella provincia di Bali, dall’Indonesia giunge la ghiotta notizia che una statua della dea Sarasvati, tra le urla isteriche dei fedeli accalorati, avrebbe pianto lacrime di compassione per la sorte del suo popolo. Saranno ben lieti, gli esorcisti della cattolicità nostrana, di sapere che oltre alla pizza e a Laura Pausini la nostra globalizzatrice civiltà esporta persino, ad uso e consumo delle universali ansie di redenzione dell’umanità intera, i pianti soprannaturali delle statue della Madonna.
La notizia in realtà non fa scalpore in Italia: troppa concorrenza. Dalla Val Seriana a Siracusa e da Civitavecchia a Treviglio, su e giù per il Belpaese e in ogni epoca, è tutto un lamento di lapidee signore che inondano i fedeli di preziose lacrime quando non, per i più fortunati, addirittura di autentiche gocce di sangue. La circostanza che poi, alla conseguente analisi del DNA, le lacrime (ovvero il sangue) rivelino essere appartenute non già a creature soprannaturali quali possono di buon grado definirsi le statue che piangono, bensì a individui di specie umana e talora, curiosamente, di sesso maschile, non turba nessuno. Cosa c’è di più normale di una Madonna transgender? Per niente sospetta, inoltre, l’abitudine delle effigi nostrane di emettere fluidi corporei alla presenza esclusiva di fedeli della Santa Religione Cattolica Apostolica Romana. Mai che un valdese, ad esempio, o un agnostico dell’UAAR possano fregiarsi del privilegio di assistere ad una statuaria lacrimazione.
Ma perché le Madonne piangono? Ovvio: piangono di dolore. E la colpa di una tale moltitudine di trascendentali geremiadi spetterebbe, almeno secondo il vescovo emerito di Civitavecchia monsignor Grillo, nientemeno che ai comunisti. A suo avviso, infatti, la celebre statuetta che nella sua diocesi esalò lacrime di sangue per ben 14 volte prima di decidere, forse offesa dall’incredulità degli uomini di poca fede che vollero prelevare i campioni per le analisi, di ritirarsi in un più consono mutismo, pianse precisamente «per i gravi disordini morali esistenti nel mondo, nonché per la persistente visione ateistica imperante anche dopo la caduta del comunismo, ed infine per gli sbandamenti esistenti tuttora in seno alla Chiesa».
Attenzione però. Le donne, consueto capro espiatorio di tutti i peccati del mondo, non si sentano trascurate: le statue piangono e si disperano non solo per il comunismo ma anche, com’è ovvio, per l’aborto. La mamma celeste, effondendo le sue lacrime in una umile magione siracusana degli anni 50 dove una giovane coppia di sposi devotissimi si trovava in trepidante ansia per la prima difficile gravidanza, protegge la famiglia e dunque, va da sé, la donna incinta. Ergo l’embrione. Dal radiomessaggio di papa Pio XII, diffuso dopo i suddetti fatti siciliani, apprendiamo infatti che la Madonna «soffre e lotta insieme a coloro che soffrono e lottano per difendere il valore della famiglia e l’inviolabilità della vita». Il messaggio è chiaro. E l’Italia si trova in uno stato di tale fatiscenza da non poter più fare a meno dei periodici interventi di restauro magnanimamente offerti da Madonne di marmo, gesso e vari altri materiali da costruzione.
Va meglio ai balinesi i quali, dalla loro miracolosa effigie, ottengono lacrime di compassione per i recenti fatti di cronaca. Chissà se anche la loro statuina è frutto delle nostre esportazioni di qualità ormai apprezzate in tutto il mondo e adatte all’utenza più disparata. Dopo la Madonnina di Siracusa, la Madonnina di Civitavecchia, le ampolle colme d’acqua miracolosa raffiguranti le buone signore di Lourdes, Fatima, Medjugorie, La Salette, Ghiaie di Bonate e perfino la Madonna del Popone Diaccio Stecchito, che apparve tra le pagine del livornese Vernacoliere a protezione di quanti, in una torrida giornata estiva, la evocano dopo solenni indigestioni di meloni ghiacciati appena tirati fuori dal frigo, mancava all’appello la multietnica e caritatevole Madonna dagli Occhi a Mandorla. Ora che persino la dea Sarasvati, forse ansiosa di raggiungere la medesima fama delle colleghe occidentali, ha fatto generosamente sgorgare le proprie calde lacrime, la lacuna è stata colmata. Buon per tutti: le vie del Signore, così come quelle del made in Italy, sono davvero infinite.
un blog dove si parla a ruota libera e dove i pomodori non vengono lanciati a nessuno
luna bianca luna nera è la luna del calendario, quella di tutti i giorni, perché in questo blog si parla di ciò che succede e di come lo sentiamo.
l'una bianca, l'una nera: qualcosa ci piace, qualcos'altro invece no. perché anche la luna ha un suo fondo di inquietudine.
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martedì 29 novembre 2011
sabato 26 novembre 2011
Cicciolina for president!
Nata a Budapest il 26 novembre del 1951, l’onorevole pornodiva Cicciolina, al secolo Ilona Staller, approda in forma smagliante alla fatidica soglia dei sessanta.
Con l’abituale insalatona mista di kitsch e candore, colori pastello e rossetti da vamp, fiaba e sensualità, Cicciolina ci accoglie nel suo sito ammiccante come sempre; ci racconta i retroscena della sua ormai lunga esistenza di icona del sesso tra cui, gustosissimo, l’incontro con Berlusconi nel lontano 1974, che «con il suo aereo privato» le fece scoprire una delle più belle isole della Grecia, lasciando ai lettori il divertimento di immaginarsi quale; ci racconta l’episodio in cui persino Nilde Iotti la applaudì nel corso di un suo discorso «contro la violenza sulle donne», e infatti le immancabili animazioni web, irresistibili per chiunque e dunque figuriamoci per Cicciolina, le regalano occhi sfavillanti come quelli di una pasionaria o di una principessa austroungarica.
In effetti, a ben vedere, un po’ principessa e un po’ pasionaria Cicciolina la è stata. E non tanto del porno quanto dei diritti civili. Tutto si può dire della grottesca, improbabile accoppiata Cicciolina-Pannella, la Bella e la Bestia, ma non che non abbiano compreso come l’affermazione dei diritti civili passi anche attraverso una presa di coscienza del proprio corpo e della propria sessualità che in questi nostri tempi, purtroppo, latita irrimediabilmente. Di corpo e sessualità né si parla, né si ascolta chi ne parla.
Non c’è dunque da stupirsi se, ripercorrendo la carriera di Cicciolina, il clamore suscitato dalla sua candidatura a parlamentare della nostra sciagurata Repubblica ha riguardato il suo mestiere, come se sedere a Montecitorio e guadagnarsi il pane nel mondo del porno si escludano a vicenda in virtù di qualche fantomatica postilla costituzionale.
Viene altresì da pensare che i ventimila che compatti l’hanno votata siano stati abbagliati, per parafrasare una nota pubblicità di mentine di moda giusto in quell’epoca, più dal buco che dalla donna intorno: il sesso stuzzica e tuttavia, almeno nel Belpaese, si fa ma non si dice. Una gnocca a Montecitorio, sebbene non siano state quelle le intenzioni di Pannella né della stessa Cicciolina, non è mai sgradita.
Eppure lei, la pornodiva che ha fatto storia, nel ruolo della paladina del sesso libero e senza inibizioni, della lotta all’AIDS, dell’inquietante fenomeno della violenza sulle donne è perfetta. Nel labirinto di argomenti tabù, affrontati abitualmente con ideologia, con falsi pudori o, quel che è peggio, con malinteso senso della religiosità, i brillantini virtuali negli occhi di Cicciolina sono un faro di coerenza.
Non a caso quando il nostro ex presidente del Consiglio ormai agli sgoccioli ha proposto, come nuovo nome per il suo partito, quello indubbiamente evocativo di Forza Gnocca, pochissimi hanno associato la sortita berlusconiana al più antico e più serio Partito dell’Amore di cicciolinesca memoria. Sarà un caso? O forse, su e giù per uno Stivale stretto tra le escort ipocritamente travestite da suore di Silvio e le suore neppure travestite da escort di Mario, di politici come l’onorevole Ilona Staller si comincia a sentire decisamente la mancanza?
Non a caso quando il nostro ex presidente del Consiglio ormai agli sgoccioli ha proposto, come nuovo nome per il suo partito, quello indubbiamente evocativo di Forza Gnocca, pochissimi hanno associato la sortita berlusconiana al più antico e più serio Partito dell’Amore di cicciolinesca memoria. Sarà un caso? O forse, su e giù per uno Stivale stretto tra le escort ipocritamente travestite da suore di Silvio e le suore neppure travestite da escort di Mario, di politici come l’onorevole Ilona Staller si comincia a sentire decisamente la mancanza?
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lunedì 21 novembre 2011
Barbie Vaticana
Neanche un mese fa le associazioni di genitori americani si scagliavano compatte contro il giocattolo cult dell'autunno, la nuovissima Barbie Tatuata, con la motivazione che la bambola in questione mostrerebbe «un modello sbagliato da imitare, troppo provocante e ribelle»; il tutto senza che l'idea che possano esistere madri e padri tatuati per davvero, in una realtà che forse non ha ancora contagiato le famiglie americane wasp ma che, sulle spiagge nostrane, ha ormai assunto l'innocuo carattere di vera e propria moda, sfiorasse minimamente, neppure in modo trasversale, la materia grigia degli inferociti genitori statunitensi.
Per non scontentare nessun produttore di giocattoli proprio quest'oggi, dopo la Barbie, tocca al nuovissimo bambolotto della Toys R Us, appena rilasciato e già nell'occhio del ciclone perché, ascoltare per credere, tra un singhiozzo e una risatina il pupo scandirebbe le sorprendenti parole dirty bitch, ritenute inadeguate, va da sé, al target infantile cui il prodotto si rivolge. La polemica, complice il frenetico periodo degli acquisti prenatalizi, è montata come un uragano: le mamme borghesi americane, evidentemente turbate all'idea di potersi ritrovare sotto l'albero l'imbarazzante bambolotto magari recapitato da una ignara prozia un po' dura d'orecchi, ne hanno chiesto l'immediato ritiro. Per la cronaca, la casa produttrice nicchia: secondo un comunicato ufficiale, infatti, la bambola emetterebbe «suoni infantili senza senso e non parole o frasi». Difficile immaginare il contrario, a meno di non ipotizzare una colossale sbronza dei programmatori della bambola o, in puro stile Pontifex.Roma.it, un soprannaturale intervento satanico a monito di redenzione universale.
Fatto è che la crociata contro i giocattoli scomodi riempie le pagine dei giornali con andamento periodico. Bambolotti che interloquiscono a mo' di scaricatori del porto di Livorno, signorine di plastica che esibiscono provocanti curve tatuate e chi più ne ha più ne metta, scandalizzano l'opinione pubblica per la loro inadeguatezza. Si dice siano inappropriati: una bambola, destinata ai nostri cuccioli indifesi, non può bucarsi e non può bestemmiare. I piccoli vanno protetti dalle abominevoli abitudini di certi adulti delle quali non è lecito nemmeno parlare.
Meglio, semmai, intrattenere i bambini con altri più educativi pupazzi: ad esempio, per restare in clima natalizio, i personaggi del presepe.
Che poi le chiome bionde della Madonna, l'iride cerulea e le membra da autentica Barbie, ammantate di preziosi broccati rosazzurri che farebbero felice qualsiasi bambola che si rispetti purché, beninteso, non tatuata, possano non essere considerate appropriate a come realmente sono andate le cose duemila anni fa in Palestina, non passa per la mente di nessuno.
Forse in quella capanna vicino alla mangiatoia meglio figurerebbero, al posto delle consuete sante statuine borghesi che rimirano con fissità adorante un bambinello pasciuto e biondocrinito, la Barbie Tossica, la Barbie Piccoli Furti e il Cicciobello Magnaccia. Proprio loro, almeno stando alle parole tuttora costantemente travisate di un famoso sovversivo condannato a morte giusto in quell'epoca («Ladri e prostitute vi passano avanti», Mt 21:31), sono le bambole più educative.
mercoledì 16 novembre 2011
Wonder Woman e la procreazione assistita
Le nuovissime linee guida del Ministero della Salute in tema di procreazione assistita fanno discutere. In particolare fa discutere la proposta di un netto no alla diagnosi genetica pre-impianto, che di fatto è l'unica via per genitori affetti da malattie genetiche di poter sperare di avere un figlio più o meno sano.
Inutile accodarsi agli autorevoli commenti giunti da più parti: da Severino Antinori alla Sociatà Italiana Studi di Medicina della Riproduzione, da Mina Welby all'Associazione Luca Coscioni per la Libertà della Ricerca Scientifica, tutti sono concordi nel definire queste linee governative un passo indietro, per quanto in tema di procreazione assistita sia assai difficile ammettere di non aver ancora toccato il fondo.
Inutile accodarsi agli autorevoli commenti giunti da più parti: da Severino Antinori alla Sociatà Italiana Studi di Medicina della Riproduzione, da Mina Welby all'Associazione Luca Coscioni per la Libertà della Ricerca Scientifica, tutti sono concordi nel definire queste linee governative un passo indietro, per quanto in tema di procreazione assistita sia assai difficile ammettere di non aver ancora toccato il fondo.
Per fortuna ci consolano le parole dell'ormai ex sottosegretario al Ministero della Salute, l'ineffabile Eugenia Maria Roccella, che dal femminismo abortista è filata dritta al Family Day passando tranquillamente attraverso i consueti insulti alle coppie omosessuali e gli altrettanto rituali apprezzamenti della dottrina della Chiesa cattolica in materia di tutela delle donne e del femminile. La Roccella avrebbe infatti dichiarato, in risposta alle polemiche sollevate sulla diagnosi pre-impianto e con il miglior tono da maestrina dalla penna rossa, che ognuno di noi dovrebbe imparare a «far i conti e accettare la propria realtà e condizione».
Benissimo.
Ci pensi lei, onorevole ex sottosegretario, a dire ad un miope di andare felicemente a sbattere contro tutti i pali dell'Enel che incontra sulla sua via perché, in nome dell'accettazione della «propria realtà e condizione», non ha indossato gli auspicabili occhiali. Lo dica lei ad un ipoacusico, ammesso e non concesso che questi, buon per lui, riesca a sentirla, di non rivolgersi ad Amplifon per meglio fare i conti con «la propria realtà e condizione». Convinca lei un malato di tumore di lasciar perdere gli interventi e le terapie che magari, come oggigiorno fortunatamente accade sempre più spesso, potrebbero debellare il suo male in via definitiva, per amore delle dichiarazioni di una signora sana, felice, fortunata, ex femminista, attuale cattolica, persino senza occhiali e, come si evince dal sito, priva di un solo capello bianco alla rispettabilissima età di 58 anni. Insomma una Wonder Woman.
Il noto personaggio di un fumetto degli anni quaranta è infatti, nelle intenzioni dei suoi autori, in grado di «volare a una velocità supersonica, ha una buona resistenza agli incantesimi ed è capace di espellere i veleni dal suo corpo; inoltre ha dei sensi sovrumani che le permettono ad esempio di sentire le fonti di magia e di afferrare al volo una freccia a mezz'aria, ed è capace di comunicare con gli animali. Athena le ha donato una grande saggezza e intelligenza perciò parla molte lingue terrestri. La sua esperienza come combattente è paragonabile a quella di Batman, se non superiore».
Che cosa ci fa una donna così brava, combattiva, bella e invulnerabile, mamma e professionista, laureata in lettere che conciona di medicina, una tale supereroina, in poche parole, scesa in campo nel miserando scenario della politica nazionale? Onorevole Roccella, dia retta ai suoi fans e proprio adesso che il suo mandato sottosegretariale è memoria colga l'occasione per cambiare ancora una volta direzione: incomparabili imprese la aspettano.
Benissimo.
Ci pensi lei, onorevole ex sottosegretario, a dire ad un miope di andare felicemente a sbattere contro tutti i pali dell'Enel che incontra sulla sua via perché, in nome dell'accettazione della «propria realtà e condizione», non ha indossato gli auspicabili occhiali. Lo dica lei ad un ipoacusico, ammesso e non concesso che questi, buon per lui, riesca a sentirla, di non rivolgersi ad Amplifon per meglio fare i conti con «la propria realtà e condizione». Convinca lei un malato di tumore di lasciar perdere gli interventi e le terapie che magari, come oggigiorno fortunatamente accade sempre più spesso, potrebbero debellare il suo male in via definitiva, per amore delle dichiarazioni di una signora sana, felice, fortunata, ex femminista, attuale cattolica, persino senza occhiali e, come si evince dal sito, priva di un solo capello bianco alla rispettabilissima età di 58 anni. Insomma una Wonder Woman.
Il noto personaggio di un fumetto degli anni quaranta è infatti, nelle intenzioni dei suoi autori, in grado di «volare a una velocità supersonica, ha una buona resistenza agli incantesimi ed è capace di espellere i veleni dal suo corpo; inoltre ha dei sensi sovrumani che le permettono ad esempio di sentire le fonti di magia e di afferrare al volo una freccia a mezz'aria, ed è capace di comunicare con gli animali. Athena le ha donato una grande saggezza e intelligenza perciò parla molte lingue terrestri. La sua esperienza come combattente è paragonabile a quella di Batman, se non superiore».
Che cosa ci fa una donna così brava, combattiva, bella e invulnerabile, mamma e professionista, laureata in lettere che conciona di medicina, una tale supereroina, in poche parole, scesa in campo nel miserando scenario della politica nazionale? Onorevole Roccella, dia retta ai suoi fans e proprio adesso che il suo mandato sottosegretariale è memoria colga l'occasione per cambiare ancora una volta direzione: incomparabili imprese la aspettano.
martedì 15 novembre 2011
la realtà nascosta dietro la realtà
Alex Guofeng Cao è un fotografo sino-americano, o americano e basta visto che il suolo cinese non gli ha dato che i natali, molto noto negli States per l'idea che ha avuto di costruire grandi ritratti fotografici a partire dall'accostamento di minutissime tessere di mosaico che, a guardarle attentamente, raffigurano un'altra immagine.
Un esempio per tutti: la gigantografia di Marilyn, apparentemente ordinaria, rivela invece ad un occhio attento, e posto alla giusta distanza, di essere formata da un dedalo di tesserine raffiguranti la Gioconda. Come a dire: dietro un mito dei giorni nostri si nasconde l'idea stessa di mito, archetipica, come già incarnata da Monna Lisa nella mente di un artista di cinquecento anni fa.
Così dal sito web di Cao apprendiamo che, secondo lui, dietro Madre Teresa di Calcutta si nasconde Gandhi e viceversa dietro il grande pacifista indiano si nasconde la famosa suora albanese. A questo punto il discorso si fa più sfocato.
Dietro JFK c'è naturalmente la moglie Jackie e anche in questo caso vale il vicecersa. Ma Kennedy occhieggia nascosto anche dietro ad un'altra gigantografia di Marilyn e, come nelle sedute spiritiche di qualche altolocata dama francese, dietro le sembianze della principessa Diana appaiono quelle della principessa Grace, dietro Obama non può non starsene nascosto il barbuto Lincoln e viceversa, dietro Elvis non può mancare John Lennon e dietro Baryshnikov ovviamente volteggia Fred Astaire.
Più interessante la sezione piccante: dove i capezzoli di Kate Moss lasciano trasparire la nuda virilità michelangiolesca del David, dove l'onnipresente pilo, in questo caso appartenente alla inquietante Stephanie Seymour, cela la chioma fluente della Venere del Botticelli e dove gli airbag al silicone della Anderson, con tanto di simbolo del dollaro stampato sulla mutandina in posizione ammiccante, rivelano nientemeno che l'origine del mondo come concepita dal crudo naturalismo di Courbet. Insomma un minestrone. In cui il vero lampo di genio sarebbe costituito più dall'idea in sé che non dalle immagini, le quali peraltro sono prese in prestito da altri grandi fotografi: tanto per buttare lì due nomi, Avedon e Mapplethorpe.
A ben vedere, tuttavia, anche l'idea che sta alla base dei mosaici postmoderni di Cao non gli appartiene del tutto: basti pensare a Maurits Cornelis Escher, l'incisore dei mondi alternativi in cui la realtà nasconde dettagli inaspettati o, ancor prima, all'Arcimboldi pittore milanese autore di ritratti ironici e irriverenti come quello di Rodolfo II d'Asburgo, il cui naso austroungarico è sostituito da una pera, il nobile petto da una zucca, il collo da un mix di cetrioli e zucchine e la regale capigliatura da un trionfo di frutta freschissima e croccanti ortaggi di ogni stagione.
Il gioco che Alex Cao ripropone agli appassionati d'arte e di realtà nascoste è antico. E a forza di gigantografie di personaggi più o meno defunti da tempo viene voglia di applicarlo ad una più succosa attualità. Chissà chi potrebbe nascondersi dietro Mario Monti, l'uomo del giorno: Cao forse non esiterebbe a scegliere Silvio Berlusconi. Peccato, però, che non sia stato fotografato da Avedon.
Un esempio per tutti: la gigantografia di Marilyn, apparentemente ordinaria, rivela invece ad un occhio attento, e posto alla giusta distanza, di essere formata da un dedalo di tesserine raffiguranti la Gioconda. Come a dire: dietro un mito dei giorni nostri si nasconde l'idea stessa di mito, archetipica, come già incarnata da Monna Lisa nella mente di un artista di cinquecento anni fa.
Così dal sito web di Cao apprendiamo che, secondo lui, dietro Madre Teresa di Calcutta si nasconde Gandhi e viceversa dietro il grande pacifista indiano si nasconde la famosa suora albanese. A questo punto il discorso si fa più sfocato.
Dietro JFK c'è naturalmente la moglie Jackie e anche in questo caso vale il vicecersa. Ma Kennedy occhieggia nascosto anche dietro ad un'altra gigantografia di Marilyn e, come nelle sedute spiritiche di qualche altolocata dama francese, dietro le sembianze della principessa Diana appaiono quelle della principessa Grace, dietro Obama non può non starsene nascosto il barbuto Lincoln e viceversa, dietro Elvis non può mancare John Lennon e dietro Baryshnikov ovviamente volteggia Fred Astaire.
Più interessante la sezione piccante: dove i capezzoli di Kate Moss lasciano trasparire la nuda virilità michelangiolesca del David, dove l'onnipresente pilo, in questo caso appartenente alla inquietante Stephanie Seymour, cela la chioma fluente della Venere del Botticelli e dove gli airbag al silicone della Anderson, con tanto di simbolo del dollaro stampato sulla mutandina in posizione ammiccante, rivelano nientemeno che l'origine del mondo come concepita dal crudo naturalismo di Courbet. Insomma un minestrone. In cui il vero lampo di genio sarebbe costituito più dall'idea in sé che non dalle immagini, le quali peraltro sono prese in prestito da altri grandi fotografi: tanto per buttare lì due nomi, Avedon e Mapplethorpe.
A ben vedere, tuttavia, anche l'idea che sta alla base dei mosaici postmoderni di Cao non gli appartiene del tutto: basti pensare a Maurits Cornelis Escher, l'incisore dei mondi alternativi in cui la realtà nasconde dettagli inaspettati o, ancor prima, all'Arcimboldi pittore milanese autore di ritratti ironici e irriverenti come quello di Rodolfo II d'Asburgo, il cui naso austroungarico è sostituito da una pera, il nobile petto da una zucca, il collo da un mix di cetrioli e zucchine e la regale capigliatura da un trionfo di frutta freschissima e croccanti ortaggi di ogni stagione.
Il gioco che Alex Cao ripropone agli appassionati d'arte e di realtà nascoste è antico. E a forza di gigantografie di personaggi più o meno defunti da tempo viene voglia di applicarlo ad una più succosa attualità. Chissà chi potrebbe nascondersi dietro Mario Monti, l'uomo del giorno: Cao forse non esiterebbe a scegliere Silvio Berlusconi. Peccato, però, che non sia stato fotografato da Avedon.
giovedì 10 novembre 2011
La secessione e il papa sulla Luna
Il leader dei leghisti ticinesi, il «Gran Bauscia Duca di Monteforno e presidente a vita della giuria del concorso Miss Carampana» secondo Nonciclopedia, o più familiarmente, per chi non mastica gli idiomi nordici e deve rifugiarsi tra le innocue pagine di Wikipedia, l'«imprenditore e politico svizzero» Giuliano Bignasca, ha avanzato nei giorni scorsi una proposta allettante: annettere le provincie italiane del nord alla Svizzera, creando così un megacantone italofono che si prenda carico della maggior parte dei leghisti nostrani.
L'idea non dispiace.
Non dispiace alla Lega; tramontata l'idea di una virtuale deriva dei continenti in cui la Padania si trovi al centro dell'universo e, com'è ovvio, contro il resto del mondo, opzione reputata evidentemente troppo illogica persino dal Trota, ai secessionisti de noantri non resta che una sola via di fuga: l'annessione alla Svizzera, da essi stessi acclamata come patria putativa; lassù nei verdi pascoli ticinesi dove legge, ordine e formaggi d'alpe regnano sovrani e dove la mozzarella di bufala campana, va da sé, non è ammessa neppure se a marchio DOP, Bossi e i suoi possono sperare di trovare il paradiso.
L'idea di ospitare migliaia di profughi leghisti non dispiace ai ticinesi, se è vero che la proposta di Bignasca non ha suscitato quel fiume di polemiche che ci si aspetterebbe. Evidentemente ebbri di fonduta al merlot del Ticino annaffiata da un Bondola di Gudo dell'annata giusta, gli svizzeri italofoni accoglierebbero di buon grado i fuoriusciti nostrani: libiamo nei lieti calici affinché i discendenti del prode Guglielmo Tell, carichi di entusiasmo e di alcol, non abbiano a cambiare idea.
La proposta di Bignasca non dispiace neanche a quegli italiani, non pochi, che vedrebbero di buon occhio un cantone svizzero che raccolga i fanatici secessionisti padani e li tenga lontani il più possibile dalla «palude romana», come la definisce il leghista Matteo Bianchi, primo cittadino di un villaggio del varesotto dove invece gli acquitrini a quanto pare sono puliti e in ordine. Benissimo dunque: si caldeggi l'annessione. Sarebbe una liberazione persino per le zanzare.
Ma non è tutto. Accanto al supercantone svizzero, che in un solo azzeccatissimo colpo spazzerebbe via la maggior parte dei leghisti dal Belpaese, potrebbero risorgere il Granducato di Toscana con il sindaco Renzi nei panni di un novello Lorenzo il Magnifico, libero di girovagare fra i suoi rottami, un impero Austroungarico con l'Alto Adige come elemento di punta e, perché no, uno Stato Vaticano che faccia finalmente la sua parte: chieda senza esitare l'auspicabile ed auspicata annessione alla Luna. Perché questo è il bello della secessione.
L'idea non dispiace.
Non dispiace alla Lega; tramontata l'idea di una virtuale deriva dei continenti in cui la Padania si trovi al centro dell'universo e, com'è ovvio, contro il resto del mondo, opzione reputata evidentemente troppo illogica persino dal Trota, ai secessionisti de noantri non resta che una sola via di fuga: l'annessione alla Svizzera, da essi stessi acclamata come patria putativa; lassù nei verdi pascoli ticinesi dove legge, ordine e formaggi d'alpe regnano sovrani e dove la mozzarella di bufala campana, va da sé, non è ammessa neppure se a marchio DOP, Bossi e i suoi possono sperare di trovare il paradiso.
L'idea di ospitare migliaia di profughi leghisti non dispiace ai ticinesi, se è vero che la proposta di Bignasca non ha suscitato quel fiume di polemiche che ci si aspetterebbe. Evidentemente ebbri di fonduta al merlot del Ticino annaffiata da un Bondola di Gudo dell'annata giusta, gli svizzeri italofoni accoglierebbero di buon grado i fuoriusciti nostrani: libiamo nei lieti calici affinché i discendenti del prode Guglielmo Tell, carichi di entusiasmo e di alcol, non abbiano a cambiare idea.
La proposta di Bignasca non dispiace neanche a quegli italiani, non pochi, che vedrebbero di buon occhio un cantone svizzero che raccolga i fanatici secessionisti padani e li tenga lontani il più possibile dalla «palude romana», come la definisce il leghista Matteo Bianchi, primo cittadino di un villaggio del varesotto dove invece gli acquitrini a quanto pare sono puliti e in ordine. Benissimo dunque: si caldeggi l'annessione. Sarebbe una liberazione persino per le zanzare.
Ma non è tutto. Accanto al supercantone svizzero, che in un solo azzeccatissimo colpo spazzerebbe via la maggior parte dei leghisti dal Belpaese, potrebbero risorgere il Granducato di Toscana con il sindaco Renzi nei panni di un novello Lorenzo il Magnifico, libero di girovagare fra i suoi rottami, un impero Austroungarico con l'Alto Adige come elemento di punta e, perché no, uno Stato Vaticano che faccia finalmente la sua parte: chieda senza esitare l'auspicabile ed auspicata annessione alla Luna. Perché questo è il bello della secessione.
sabato 5 novembre 2011
Mater semper certa est
Una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha sancito, ribaltando completamente posizioni già assunte in precedenza, che vietare la fecondazione assistita eterologa non costituirebbe violazione dei diritti umani fondamentali.
La notizia, com'è ovvio, è stata variamente commentata; l'intervento più stupefacente nel vero senso del termine, quasi partorito nel delirio dell'autentico masticatore di oppio, rimane quello del professor Lucio Romano, presidente della benemerita associazione pro-life Scienza&Vita, baluardo dei credenti in una tecnologia che promuova, appunto, la vita, come se esistessero pratiche scientifiche, dottor Mengele a parte, che invece la negano.
Il professor Romano ha infatti inciso sul granito della storia delle dichiarazioni le seguenti testuali parole: «Il divieto di fecondazione eterologa pone le sue basi sulla necessità di tenere conto della dissociazione di maternità e paternità, propria della tecnica. La Corte evidenzia in maniera inequivocabile la prevalenza di un principio fondamentale del diritto: la certezza dell’identità genitoriale» (da Avvenire.it).
A parte l'offesa nei confronti delle coppie che si vedono costrette ad affrontare un iter di riproduzione assistita difficile e ingrato qual è quello della fecondazione eterologa, c'è da notare (e da far notare al professore) che quando un uomo e una donna "decidono" di diventare genitori biologici per una via tanto impervia evidentemente è perché metodiche più tradizionali, incluso l'onnipresente cero alla Madonna, non hanno sortito il risultato sperato.
La "scelta" di ricorrere alla donazione di seme, di ovuli o di entrambi, è in ultima analisi non molto dissimile dal buon vecchio mangiare questa minestra o saltare dalla finestra. Bere o annegare. Fare, insomma, come il burattino Pinocchio che di fronte alla prospettiva, non troppo rosea, di finire disteso nella simpatica cassa lignea trasportata a spalla dai famosi quattro conigli neri come l'inchiostro, ingurgita senza fiatare l'amarissima medicina offertagli dalla Fata Turchina.
E' lecito supporre, ricordandolo nel contempo anche al professor Romano, che le coppie infertili, dipendesse da loro, rinuncerebbero volentieri al privilegio di mettere al mondo figli che ereditano una incerta «identità genitoriale», preferendo senza dubbio ricorrere ai metodi più tradizionali di cui sopra. Ma la vita, come sa bene anche il burattino di Collodi, non è sempre come la si vorrebbe.
Una volta si diceva «Mater semper certa est, pater nunquam» che, purtroppo per Lucio Romano, non è una litania della Beata Vergine bensì un antico adagio che pone l'accento sulla generale incertezza delle nostre origini biologiche senza peraltro farne un dramma, ma con la leggerezza tipica della migliore vox populi. Il senso di questo proverbio non è perentorio: «Mater semper certa est» nulla dice riguardo come debba non debba essere questa famosa madre, sempre ossessionata dalle altrui indicazioni di servizio. Semplicemente ricorda, con allusività un po' sorniona, che anche nel caso di evidente maternità biologica l'ultima parola sul responsabile maschile non è sempre detta.
Al giorno d'oggi, in tempi di test del DNA, la suddetta saggezza popolare viene accantonata con troppa disinvoltura. Per fortuna ci soccorre ancora una volta la storia di Pinocchio, grandiosa metafora di come l'eventuale oscurità delle proprie origini biologiche, o parimenti la mancanza di «certezza dell'identità genitoriale» del professor Romano, non solo non sia una menomazione, ma anzi una vera e propria risorsa: la via per scoprire l'amore. Quello vero. Quello gratuito di una coppia speciale che fino a prova contraria non ha messo al mondo l'adorato burattino, magari di rientro da una capatina a Lourdes, nel corso di un tradizionale, fertilissimo e cattolicissimo amplesso: la coppia costituita dal buon Geppetto e dalla Fata Turchina. Gli unici genitori certi, insomma. Quelli resi tali dall'amore.
La notizia, com'è ovvio, è stata variamente commentata; l'intervento più stupefacente nel vero senso del termine, quasi partorito nel delirio dell'autentico masticatore di oppio, rimane quello del professor Lucio Romano, presidente della benemerita associazione pro-life Scienza&Vita, baluardo dei credenti in una tecnologia che promuova, appunto, la vita, come se esistessero pratiche scientifiche, dottor Mengele a parte, che invece la negano.
Il professor Romano ha infatti inciso sul granito della storia delle dichiarazioni le seguenti testuali parole: «Il divieto di fecondazione eterologa pone le sue basi sulla necessità di tenere conto della dissociazione di maternità e paternità, propria della tecnica. La Corte evidenzia in maniera inequivocabile la prevalenza di un principio fondamentale del diritto: la certezza dell’identità genitoriale» (da Avvenire.it).
A parte l'offesa nei confronti delle coppie che si vedono costrette ad affrontare un iter di riproduzione assistita difficile e ingrato qual è quello della fecondazione eterologa, c'è da notare (e da far notare al professore) che quando un uomo e una donna "decidono" di diventare genitori biologici per una via tanto impervia evidentemente è perché metodiche più tradizionali, incluso l'onnipresente cero alla Madonna, non hanno sortito il risultato sperato.
La "scelta" di ricorrere alla donazione di seme, di ovuli o di entrambi, è in ultima analisi non molto dissimile dal buon vecchio mangiare questa minestra o saltare dalla finestra. Bere o annegare. Fare, insomma, come il burattino Pinocchio che di fronte alla prospettiva, non troppo rosea, di finire disteso nella simpatica cassa lignea trasportata a spalla dai famosi quattro conigli neri come l'inchiostro, ingurgita senza fiatare l'amarissima medicina offertagli dalla Fata Turchina.
E' lecito supporre, ricordandolo nel contempo anche al professor Romano, che le coppie infertili, dipendesse da loro, rinuncerebbero volentieri al privilegio di mettere al mondo figli che ereditano una incerta «identità genitoriale», preferendo senza dubbio ricorrere ai metodi più tradizionali di cui sopra. Ma la vita, come sa bene anche il burattino di Collodi, non è sempre come la si vorrebbe.
Una volta si diceva «Mater semper certa est, pater nunquam» che, purtroppo per Lucio Romano, non è una litania della Beata Vergine bensì un antico adagio che pone l'accento sulla generale incertezza delle nostre origini biologiche senza peraltro farne un dramma, ma con la leggerezza tipica della migliore vox populi. Il senso di questo proverbio non è perentorio: «Mater semper certa est» nulla dice riguardo come debba non debba essere questa famosa madre, sempre ossessionata dalle altrui indicazioni di servizio. Semplicemente ricorda, con allusività un po' sorniona, che anche nel caso di evidente maternità biologica l'ultima parola sul responsabile maschile non è sempre detta.
Al giorno d'oggi, in tempi di test del DNA, la suddetta saggezza popolare viene accantonata con troppa disinvoltura. Per fortuna ci soccorre ancora una volta la storia di Pinocchio, grandiosa metafora di come l'eventuale oscurità delle proprie origini biologiche, o parimenti la mancanza di «certezza dell'identità genitoriale» del professor Romano, non solo non sia una menomazione, ma anzi una vera e propria risorsa: la via per scoprire l'amore. Quello vero. Quello gratuito di una coppia speciale che fino a prova contraria non ha messo al mondo l'adorato burattino, magari di rientro da una capatina a Lourdes, nel corso di un tradizionale, fertilissimo e cattolicissimo amplesso: la coppia costituita dal buon Geppetto e dalla Fata Turchina. Gli unici genitori certi, insomma. Quelli resi tali dall'amore.
Ma come mai non l’abbiamo pensato prima?!
La crisi economica è arrivata a un punto tale da spingere molte persone a compiere azioni impensabili, che in me suscitano perplessità e stupore:
un signore ha pensato bene di acquistare un’intera pagina del Corriere della Sera al fine di sollecitare tutti i cittadini italiani all’acquisto dei titoli di Stato, per far sì che la nazione non debba essere ancor più stretta dalla morsa della crisi. Chi ha avuto questa singolare idea non è un imprenditore facoltoso e potente come Della Valle ma bensì un libero professionista, un tal Giuliano Melani, responsabile leasing di una banca.
Quello che vorrebbe Melani è che gli italiani comprassero i titoli italiani anche con un basso rendimento in modo che le richieste di acquisto su Btp, Cct, Ctz determinino una scia di acquisti tali che elimini lo spread con in Bund tedeschi.
Per la cronaca, il libero professionista pistoiese si è obbligato a comprare, lunedì prossimo, 20.000 euro in Btp, che si aggiungono ai 20.570 sborsati al Corriere della Sera per riservare tutta una pagina per il suo annuncio.
Nella mia modesta conoscenza della situazione, avrei alcune cose da contestare al patriottico Melani:
1°- Il nostro debito pubblico è “già” posseduto da italiani, per oltre il 50%, non ricordo più esattamente quanto, ma comunque una percentuale enorme rispetto agli altri paesi. E’ per questo che il simpatico duo Germania/Francia tutto sommato non si dà troppo da fare per aiutarci, mentre sono pronti a obbligare tutta l’Europa a svenarsi per salvare a forza la Grecia: perché il debito greco è nelle mani dei loro istituti di credito, mentre nei nostri confronti non sono poi così esposti.
2°- Non vedo proprio perché dovremmo continuare a finanziare imperturbabili governi in grado solo di sprecare denaro.
3°- Non stia troppo in pensiero il libero professionista toscano: ci “obbligheranno”, in ogni caso, a finanziare il debito pubblico nei prossimi anni: a botte di patrimoniali da piegarci le gambe.
4°- Quanti sono gli Italiani che, per assurdo, si potrebbero permettere questa botta di vita?
mercoledì 2 novembre 2011
Zucca e marzapane in salsa Pontifex
Con la consueta accuratezza linguistica e in piena temperie funereo-millenaristica, più consona che mai alla giornata del 2 novembre, il sito Pontifex.Roma.it titola a caratteri cubitali che «evocare i morti» sarebbe, per l'appunto, un «abominio e peccato mortale».
In particolare, secondo la pagina web meno secolarizzata dell'oltretomba, «la peggiore e più grave espressione di divinazione» sarebbe nientemeno che «la necromanzia o spiritismo, ossia il ricorso agli spiriti dei morti per entrare in contatto con loro».
Curiosa affermazione, questa.
Che va di pari passo, per inciso, con l'editoriale che il direttore di Pontifex, l'ineffabile Bruno Volpe, ha dolorosamente partorito, con tutta probabilità dopo una cena un po' troppo pesante, nella ghiotta occasione della festa di Halloween.
Mostruoso impronunciabile lemma spaventosamente americanofono, il termine Halloween, che tradotto dall'inglese arcaico significa semplicemente «vigilia di Ognissanti», ossia ciò che effettivamente è, dev'essere pregno, per Volpe, del medesimo fascino oscuro e proibito di un sabba infernale di streghe. Almeno a giudicare dai toni apocalittici del suo articolo, nel quale accusa di incoerenza una donna di sua conoscenza, madre di un bambino vestito in maschera per la vigilia di Ognissanti con tanto di zucca, appropriato copricapo «e pagliacciate varie».
«Se questa carnevalata la avesse imposta un'atea, [...] poteva anche andare. Ma una donna che domenicalmente rende culto a Dio e poi "vende" il figlio alle tenebre, va molto male e la dice lunga, in negativo, sull'evangelizzazione scadente dei nostri preti modernisti».
Ognissanti val dunque, secondo la prosa colorita ed allusiva di Volpe, vendere l'anima alle tenebre. Tanto come entrare in contatto con i morti sarebbe un peccato, guarda caso, mortale.
Nel faticoso processo digestivo di cui sopra, il direttore Volpe e i suoi devono aver dimenticato la quantità di tradizioni locali, legate in maniera molto sanguigna alla pratica religiosa cattolica, che ammettono il contatto con il mondo dei più o se non altro l'evocazione dei cari estinti, i quali vengono per l'appunto omaggiati di una visita proprio nel periodo di Ognissanti, festa religiosa cui segue a stretto giro di boa l'altra festa, quella della Commemorazione dei Defunti. Tanta contiguità sarà casuale?
In pieno torpore postprandiale Bruno Volpe evidentemente dimentica come nel vicentino, ad esempio, fosse usanza che la mattina del 2 novembre le donne si alzassero prima del solito e uscissero di casa dopo aver rifatto i letti meglio del solito, per offrire riposo per l'intera giornata alle povere anime del Purgatorio. Questo per quanto riguarda il giorno dei morti. Ma c'è di più.
Proprio durante la notte di Ognissanti una credenza siciliana vuole che i cari estinti facciano ritorno nel mondo dei vivi per lasciare, ai bambini della famiglia, regali golosi come la celeberrima frutta di Martorana, ossia quei simpatici dolcetti di marzapane di cui certamente Volpe non ignora l'esistenza.
Alla faccia di chi considera Halloween (pardon, Ognissanti) una festa importata. Ma in effetti lo è: importata di sana pianta da quel mondo dei morti che da sempre affascina chi resta.
Il rapporto tra la vita e la morte e dunque, con preziosità linguistica degna di Pontifex, tra i vivi e i morti, sta ad ogni pratica spirituale come la pasta di mandorle sta ai dolcetti di Martorana o come la zucca sta alla festa di Halloween (pardon, di Ognissanti): ossia ne è un ingrediente fondamentale. Popolareccio, sapido, gustoso, troppo deciso talora, ma pur sempre fondamentale. Ed è un vero peccato che Bruno Volpe sia evidentemente tanto delicato di stomaco: a mangiare sempre la solita minestra non sa cosa si perde.
In particolare, secondo la pagina web meno secolarizzata dell'oltretomba, «la peggiore e più grave espressione di divinazione» sarebbe nientemeno che «la necromanzia o spiritismo, ossia il ricorso agli spiriti dei morti per entrare in contatto con loro».
Curiosa affermazione, questa.
Che va di pari passo, per inciso, con l'editoriale che il direttore di Pontifex, l'ineffabile Bruno Volpe, ha dolorosamente partorito, con tutta probabilità dopo una cena un po' troppo pesante, nella ghiotta occasione della festa di Halloween.
Mostruoso impronunciabile lemma spaventosamente americanofono, il termine Halloween, che tradotto dall'inglese arcaico significa semplicemente «vigilia di Ognissanti», ossia ciò che effettivamente è, dev'essere pregno, per Volpe, del medesimo fascino oscuro e proibito di un sabba infernale di streghe. Almeno a giudicare dai toni apocalittici del suo articolo, nel quale accusa di incoerenza una donna di sua conoscenza, madre di un bambino vestito in maschera per la vigilia di Ognissanti con tanto di zucca, appropriato copricapo «e pagliacciate varie».
«Se questa carnevalata la avesse imposta un'atea, [...] poteva anche andare. Ma una donna che domenicalmente rende culto a Dio e poi "vende" il figlio alle tenebre, va molto male e la dice lunga, in negativo, sull'evangelizzazione scadente dei nostri preti modernisti».
Ognissanti val dunque, secondo la prosa colorita ed allusiva di Volpe, vendere l'anima alle tenebre. Tanto come entrare in contatto con i morti sarebbe un peccato, guarda caso, mortale.
Nel faticoso processo digestivo di cui sopra, il direttore Volpe e i suoi devono aver dimenticato la quantità di tradizioni locali, legate in maniera molto sanguigna alla pratica religiosa cattolica, che ammettono il contatto con il mondo dei più o se non altro l'evocazione dei cari estinti, i quali vengono per l'appunto omaggiati di una visita proprio nel periodo di Ognissanti, festa religiosa cui segue a stretto giro di boa l'altra festa, quella della Commemorazione dei Defunti. Tanta contiguità sarà casuale?
In pieno torpore postprandiale Bruno Volpe evidentemente dimentica come nel vicentino, ad esempio, fosse usanza che la mattina del 2 novembre le donne si alzassero prima del solito e uscissero di casa dopo aver rifatto i letti meglio del solito, per offrire riposo per l'intera giornata alle povere anime del Purgatorio. Questo per quanto riguarda il giorno dei morti. Ma c'è di più.
Proprio durante la notte di Ognissanti una credenza siciliana vuole che i cari estinti facciano ritorno nel mondo dei vivi per lasciare, ai bambini della famiglia, regali golosi come la celeberrima frutta di Martorana, ossia quei simpatici dolcetti di marzapane di cui certamente Volpe non ignora l'esistenza.
Alla faccia di chi considera Halloween (pardon, Ognissanti) una festa importata. Ma in effetti lo è: importata di sana pianta da quel mondo dei morti che da sempre affascina chi resta.
Il rapporto tra la vita e la morte e dunque, con preziosità linguistica degna di Pontifex, tra i vivi e i morti, sta ad ogni pratica spirituale come la pasta di mandorle sta ai dolcetti di Martorana o come la zucca sta alla festa di Halloween (pardon, di Ognissanti): ossia ne è un ingrediente fondamentale. Popolareccio, sapido, gustoso, troppo deciso talora, ma pur sempre fondamentale. Ed è un vero peccato che Bruno Volpe sia evidentemente tanto delicato di stomaco: a mangiare sempre la solita minestra non sa cosa si perde.
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