"Un atto necessario a favore del lavoro" è il commento dell'assessore milanese Terzi a postilla della deroga da lui firmata che permetterà ai negozi meneghini, fra giuste polemiche e minacce di scioperi, di rimanere aperti il primo maggio.
Una posizione che riecheggia sinistramente il "meglio andare a lavorare" di Calderoli in seguito alla decisione di festeggiare i 150 anni di unità d'Italia offrendo una giornata di ferie ai lavoratori (quelli che lavorano, aggiunse amaramente la Camusso).
Questo lavoro amato/odiato, vituperato, sfruttato, anelato oggi come non mai, ispiratore della regola di San Benedetto, sancito dai padri costituenti come un diritto fondamentale, diventa un'arma. La nostra società contraddittoria, ma dall'opulenta apparenza, senza lavoro non sa ripensarsi e non sa santificare né godersi il riposo e dunque per chi può permetterselo, per chi cioè un lavoro ce l'ha, lavoro sia. Dimenticando il valore della pausa e di chi umanamente ne rivendica la necessità.
All'ombra dei maxi schermi che in piazza Duomo proietteranno la beatificazione di papa Wojtyla, fedeli e non potranno dunque distrarsi facendo shopping tra un rosario e l'altro, fra una vasca e l'altra del Corso. E poi chi alla messa, chi a chiudere le saracinesche, qualcuno rifletterà sul senso della pausa che il primo maggio incarna. O incarnava?