Il 13 luglio del 1954 moriva una delle più grandi figure di artista del nostro secolo, la messicana Frida Kahlo.
La pittura di Frida non è soltanto la rappresentazione della sua realtà interiore, come ella stessa ebbe a dire in una celebre frase: la sua pittura libera finalmente la donna, per la prima volta nella storia della raffigurazione, dagli stereotipi di uno sguardo idealizzato sulla femminilità e le restituisce la dignità verista di soggetto artistico autentico.
Le donne di Frida sono una: se stessa.
Raffigurata con impietoso realismo ma come in un archetipo dalla suggestione arcana, precolombiana quasi, della stessa idea di femminilità, la donna di Frida è un modello efficacissimo e non di rado doloroso nel quale ognuna di noi può trovare una parte, piccola o grande che sia, della propria essenza.
In un modo per noi quasi inconsapevole Frida ci richiama a noi stesse e all'incontro-scontro con la nostra realtà fatta di buone e cattive qualità, di difetti e di bellezza, di fantasmi interiori e quiete pacificante, di origini e di futuro, di sofferenza e di fede immensa nella vitalità dell'esistenza.
Evviva le donne, evviva Frida che segna non soltanto la storia dell'arte ma anche la storia delle donne: la storia interiore di ciascuna delle sue spettatrici-interlocutrici, finalmente libere di mostrare se stesse, nella vita quotidiana, con la dignità e la verità di una imperfezione che rende tutto più interessante.
Evviva gli uomini, cui Frida offre se stessa e il coraggio di uno sguardo autentico sulle donne. Un gesto che mancava. Un gesto del quale si sentiva la necessità. Un gesto che libera.
Evviva l'arte che ci ha regalato il talento psicanalitico di una donna speciale. Una donna che dal proprio percorso di dolore ha saputo trarre profonde riflessioni su se stessa e sulla società e che, nonostante le esperienze di malattia e sofferenza anche fisica, ha tenuto salda la propria fede nella vita: quella vera.
Evviva la vita!