Mentre a Lampedusa sbarcano alcune migliaia di profughi libici ma non solo, causando scompiglio in un governo che altro non sa fare se non esternare la propria violenza, dalla Costa d'Avorio in guerra parte l'esodo di un milione di persone.
I nostri affari mediterranei come al solito scompaiono di fronte alle tragedie della grande madre Africa: e soprattutto dimentichiamo che il problema della guerra in Libia non è il dover accogliere i profughi, bensì appunto la stessa guerra in Libia.
Rinunciando all'accoglienza di chi soffre ("cacciamoli e basta", "bisogna uscire col mitra", "duemila dollari a chi se ne torna a casa" sono le guerresche recenti affermazioni dei nostri governanti), rinunciamo alla nostra umanità.
Un frate una volta mi ha fatto notare che siamo tutti nomadi, tutti sofferenti e tutti profughi: in fuga dal dolore, talvolta da una vita che non è vita, in fuga da una società che non ci piace e che pure non riusciamo a cambiare. E, troppo sovente, in fuga da noi stessi.
Come dargli torto?
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