luna bianca luna nera è la luna del calendario, quella di tutti i giorni, perché in questo blog si parla di ciò che succede e di come lo sentiamo.
l'una bianca, l'una nera: qualcosa ci piace, qualcos'altro invece no. perché anche la luna ha un suo fondo di inquietudine.

martedì 29 novembre 2011

Madonne made in Italy

Dopo il violento terremoto abbattutosi lo scorso ottobre nella provincia di Bali, dall’Indonesia giunge la ghiotta notizia che una statua della dea Sarasvati, tra le urla isteriche dei fedeli accalorati, avrebbe pianto lacrime di compassione per la sorte del suo popolo. Saranno ben lieti, gli esorcisti della cattolicità nostrana, di sapere che oltre alla pizza e a Laura Pausini la nostra globalizzatrice civiltà esporta persino, ad uso e consumo delle universali ansie di redenzione dell’umanità intera, i pianti soprannaturali delle statue della Madonna.


La notizia in realtà non fa scalpore in Italia: troppa concorrenza. Dalla Val Seriana a Siracusa e da Civitavecchia a Treviglio, su e giù per il Belpaese e in ogni epoca, è tutto un lamento di lapidee signore che inondano i fedeli di preziose lacrime quando non, per i più fortunati, addirittura di autentiche gocce di sangue. La circostanza che poi, alla conseguente analisi del DNA, le lacrime (ovvero il sangue) rivelino essere appartenute non già a creature soprannaturali quali possono di buon grado definirsi le statue che piangono, bensì a individui di specie umana e talora, curiosamente, di sesso maschile, non turba nessuno. Cosa c’è di più normale di una Madonna transgender? Per niente sospetta, inoltre, l’abitudine delle effigi nostrane di emettere fluidi corporei alla presenza esclusiva di fedeli della Santa Religione Cattolica Apostolica Romana. Mai che un valdese, ad esempio, o un agnostico dell’UAAR possano fregiarsi del privilegio di assistere ad una statuaria lacrimazione.

Ma perché le Madonne piangono? Ovvio: piangono di dolore. E la colpa di una tale moltitudine di trascendentali geremiadi spetterebbe, almeno secondo il vescovo emerito di Civitavecchia monsignor Grillo, nientemeno che ai comunisti. A suo avviso, infatti, la celebre statuetta che nella sua diocesi esalò lacrime di sangue per ben 14 volte prima di decidere, forse offesa dall’incredulità degli uomini di poca fede che vollero prelevare i campioni per le analisi, di ritirarsi in un più consono mutismo, pianse precisamente «per i gravi disordini morali esistenti nel mondo, nonché per la persistente visione ateistica imperante anche dopo la caduta del comunismo, ed infine per gli sbandamenti esistenti tuttora in seno alla Chiesa».

Attenzione però. Le donne, consueto capro espiatorio di tutti i peccati del mondo, non si sentano trascurate: le statue piangono e si disperano non solo per il comunismo ma anche, com’è ovvio, per l’aborto. La mamma celeste, effondendo le sue lacrime in una umile magione siracusana degli anni 50 dove una giovane coppia di sposi devotissimi si trovava in trepidante ansia per la prima difficile gravidanza, protegge la famiglia e dunque, va da sé, la donna incinta. Ergo l’embrione. Dal radiomessaggio di papa Pio XII, diffuso dopo i suddetti fatti siciliani, apprendiamo infatti che la Madonna «soffre e lotta insieme a coloro che soffrono e lottano per difendere il valore della famiglia e l’inviolabilità della vita». Il messaggio è chiaro. E l’Italia si trova in uno stato di tale fatiscenza da non poter più fare a meno dei periodici interventi di restauro magnanimamente offerti da Madonne di marmo, gesso e vari altri materiali da costruzione.

Va meglio ai balinesi i quali, dalla loro miracolosa effigie, ottengono lacrime di compassione per i recenti fatti di cronaca. Chissà se anche la loro statuina è frutto delle nostre esportazioni di qualità ormai apprezzate in tutto il mondo e adatte all’utenza più disparata. Dopo la Madonnina di Siracusa, la Madonnina di Civitavecchia, le ampolle colme d’acqua miracolosa raffiguranti le buone signore di Lourdes, Fatima, Medjugorie, La Salette, Ghiaie di Bonate e perfino la Madonna del Popone Diaccio Stecchito, che apparve tra le pagine del livornese Vernacoliere a protezione di quanti, in una torrida giornata estiva, la evocano dopo solenni indigestioni di meloni ghiacciati appena tirati fuori dal frigo, mancava all’appello la multietnica e caritatevole Madonna dagli Occhi a Mandorla. Ora che persino la dea Sarasvati, forse ansiosa di raggiungere la medesima fama delle colleghe occidentali, ha fatto generosamente sgorgare le proprie calde lacrime, la lacuna è stata colmata. Buon per tutti: le vie del Signore, così come quelle del made in Italy, sono davvero infinite.